Rigamonti e il caso PBP: «I primi tre andrebbero squalificati»

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Tiene banco da decenni, per non dire da sempre, il tema della corretta chiave di lettura e di interpretazioni di quegli eventi catalogati come randonnée e brevetti. Manifestazioni ciclistiche a metà strada tra agonismo e cicloturismo, una branca letteralmente sui generis nella quale confluiscono praticanti di più varia estrazione e con ambizioni spesso diversissime e addirittura in conflitto.

Anche la recente Parigi-Brest-Parigi ha dato la stura a commenti, elogi, critiche, polemiche e vecchi attriti. A scatenare il tutto non solo la storica guerra di religione, cicloturisti contro agonisti e viceversa, ma anche e soprattutto il nuovo record della prova, stabilito dallo statunitense Nick DeHaan con 41h46’. I primi tre arrivati hanno concluso la prova ad una media superiore a quella prevista dal regolamento (art. 15) della PBP. Sull’argomento, e non solo su quello, abbiamo voluto sentire il parere di un veterano, uno di quelli che all’inizio del terzo millennio ha contribuito in maniera tangibile alla crescita del movimento dei randonneurs.

Fermo Rigamonti, ideatore e patron della 1001 Miglia Italia

Fermo Rigamonti è stato presidente dell’ARI, l’associazione che riunisce organizzatori e praticanti di brevetti, è ideatore e patron della 1001Miglia Italia, che si correrà nel 2024, e, cosa non da poco, la Parigi-Brest-Parigi l’ha corsa e portata a termine con successo, nell’ormai lontano 1999. Sentiamo innanzitutto che idea si è fatto della faccenda DeHaan. «DeHaan, così come il secondo e il terzo classificato, andrebbero squalificati, perché il regolamento parla chiaro: il tempo minimo per finire la PBP è di 43 ore e 32 minuti. Loro sono arrivati prima, non possono essere omologati».

Nell’intervista rilasciata a quicicloturismo.it DeHaan assicura di avere contattato la direzione della PBP quando si è reso conto di essere in anticipo sulla tabella di marcia e di aver ricevuto l’autorizzazione a sfondare il limite prestabilito.
«La cosa è strana, c’è qualcosa che non va. Tutto è possibile, ma il patron della PBP, Jean-Gualbert Faburel, è sempre stato inflessibile sui tempi. Io ho avuto modo di seguire alcune PBP e ricordo che in almeno un paio di edizioni i battistrada troppo veloci sono stati fermati ai punti di controllo e fatti ripartire soltanto dopo una sosta lunga quando potesse consentire di rientrare nei tempi».

La versione di Nick DeHaan non è allora credibile?
«Io non mi permetto di mettere in dubbio le sue dichiarazioni, ma sarà fondamentale riuscire a capire chi gli abbia concesso il nulla osta. Magari è stato un semplice ufficiale, dubito che sia stato Faburel».

Ristoro finale con medaglie all’ultima Parigi-Brest-Parigi

Ma ai controlli intermedi De Haan, Baloh e Zotter, i tre in anticipo, sono transitati regolarmente e i loro passaggi sono avallati dal sito ufficiale, con tanto di tempi.
«Quelli sono i tempi registrati con i trasponder. È una mia personale insinuazione, però può essere che ai check point i tre abbiano eluso furbescamente i controlli a timbro. Alla PBP vige ancora il doppio sistema di controllo: chip e timbro. Per ottenere l’omologazione devi avere ottenuto anche il timbro a tutti i punti di controllo. Altrimenti sei out. Se DeHaan, Baloh e Zotter avranno tutti i timbri richiesti e se si accerterà che hanno ottenuto dalla direzione di corsa il placet a continuare la prova a quella media risulteranno correttamente nell’elenco dei finishers».

Non resta che attendere la lista ufficiale degli omologati. Ma alla luce dell’accaduto non si prospetta la necessità, magari, di rivedere il regolamento.
«Il regolamento della Parigi-Brest-Parigi ha fissato una media oraria massima, da non superare, non tanto per evitare la competizione ma per garantire condizioni di sicurezza elevate».

Ha una funzione realmente efficace la misura che prevede lo stop a tempo per i ciclisti in anticipo? Una volta ripartiti, torneranno a viaggiare a 40 all’ora…
«Quello è certo, però avranno effettuato una sosta di dieci, quindici, venti minuti che consentirà loro di riposare e di ritrovare la lucidità».

Il limite di percorrenza è ancora attuale?
«Su questo si può discutere e forse si può prefigurare una modifica all’articolo 15. Ma è compito di Randonneurs Mondiaux. Oggi si pedala su bici diverse da quelle degli anni 70 e 80, più leggere, più aerodinamiche, gli atleti sono più preparati, in grado di sostenere ritmi alti anche per più giorni. Si può studiare di intervenire sul regolamento».

Durante e al termine di ogni edizione della Parigi-Brest si scatenano feroci critiche sul modo di interpretare i 1.200 chilometri del percorso. L’evento, ricordiamolo, non è agonistico.
«Che non sia agonistico è arcinoto. Non ci sono classifiche. Ma ciò non significa che tanti partecipanti, anzi tantissimi, lo interpretino in chiave competitiva. Ciò non significa cercare di arrivare 3510° piuttosto che 3780° ma dare tutto per portare a termine la distanza nel minor tempo possibile. È una sfida col tempo, in fondo, oltre che una sfida con se stessi. E chi sostiene che questo non è agonismo, sia alla PBP che in altri brevetti, è un ipocrita, lo dico con la massima convinzione. Poi con tutto ciò non voglio assolutamente dire che non vi sia chi la Parigi-Brest la corre con spirito turistico. Sono tanti quelli che partecipano per godersi la festa, che si fermano per dialogare con la gente, per stringere la mano ai bambini, per fare fotografie. C’è spazio per tutti, per chi fa 1.200 chilometri in 40 ore, per chi impiega 90 ore e per tutte le soluzioni intermedie, sia di tempo che di spirito».

E allora perché ogni quattro anni si scatena la solita stucchevole polemica?
«Perché alcuni pensano di essere i depositari dello spirito della Parigi-Brest e dei brevetti, le vestali delle randonnée. Non sono molti, però. Alla maggioranza dei randonneurs non importa nulla se i più veloci impiegano 41 ore piuttosto che 43. Sono felici e orgogliosi delle loro performance, anche quelli che finiscono in 90 ore. Ai DeHaan e ai Baloh fanno tanto di cappello e si godono la loro impresa».