I sospetti su Cancellara, le polemiche alla Maratona delle Dolomiti: storia e segreti delle bici col motorino

La bici del vincitore della Maratona delle Dolomiti, Stefano Stagni
Tempo di lettura: 4 minuti

Dello scalpore suscitato dalla bufera social riguardo l’ultima edizione della Maratona delle Dolomiti, ed in particolare dei sospetti di bici truccata con un motorino, ne abbiamo già parlato in questo articolo. Dando anche ampio spazio alla replica del protagonista suo malgrado di questa vicenda, Stefano Stagni.

Ma quello del motorino è un argomento che torna ciclicamente in ballo, sin dalla prima volta veramente in auge: dobbiamo tornare indietro di 12 anni e spicci.

Le Classiche del 2010

Come dicevamo, di un motorino nascosto nelle biciclette se ne è iniziato a parlare a partire dal 2010, dopo qualche sospetto precedentemente sorto sempre in ambito professionistico. Da lì in poi però in maniera più consistente e continuativa.

Nell’occhio del ciclone finì addirittura Fabian Cancellara, non certo l’ultimo dei ciclisti, sospettato di aver utilizzato un motorino nascosto dentro la sua bici al Giro delle Fiandre e alla Parigi-Roubaix appunto del 2010, quando in entrambi i casi staccò di ruota i suoi più accreditati avversari vincendo la gara in solitario.

Il polverone che la vicenda alzò fu tantissimo. In mezzo ci si trovò anche Davide Cassani, che di fronte alle telecamere Rai spiegò il funzionamento del motorino che agisce sul movimento centrale. Era un modello rumoroso, tutto sommato primitivo oltre che già noto e in commercio. Trovate tutto su questo video di Youtube che di fatto nel bene e nel male riassume il tutto.

Il risultato di tutto questo? Mesi e mesi di discussioni oltre che di illazioni nei confronti di Cancellara ma nessuna prova, neanche una. Lo svizzero diede comunque dimostrazione di grande aplomb. Ma non era certo finita qui…

La scivolata di Hesjedal alla Vuelta 2014

Passano quattro anni e si torna a parlare di doping tecnologico e ancora di bici col motorino nascosto. Protagonista stavolta è un corridore che non vince, Ryder Hesjedal della Garmin-Sharp, ma che alla settima tappa della Vuelta del 2014 scivolò in discesa. Quello che fece scalpore è che il comportamento della bici è quantomeno bizzaro. Potete avere un’idea vedendo questo video.

Anche qui prove zero, a parte una robustissima discussione sui social network, che nel frattempo a distanza di quattro anni dal fantomatico “affaire Cancellara” si erano ben diffusi e coinvolgevano un numero sconfinato di appassionati, ognuno con la sua sentenza già pronta.

Blitz alla Classicissima del 2015, ancora a caccia del motorino

Che l’UCI stesse preparando comunque delle contromisure lo si era capito subito alla stagione successiva a quella Vuelta del 2014. L’episodio più eclatante risale alla Milano-Sanremo vinta da John Degenkolb, primissima classica stagionale. Nel caos dell’arrivo di quella corsa condita dal maltempo c’erano anche gli ispettori dell’UCI.

A fatica e in un marasma indicibile dovettero assolvere al compito di verificare se le biciclette dei corridori nascondevano o meno il motorino. In un box dietro al palco allestito appositamente, con magistrato e Carabinieri presenti (si operava su mandato della Procura di Imperia) furono controllati una trentina di mezzi. Buona l’intenzione ma modalità totalmente da rivedere, ed il risultato manco a dirlo fu un altro clamoroso flop.

Il motorino spunta a Zolder nel 2016

Ma la bici col motorino alla fine venne trovata. Siamo nell’inverno del 2016, ai mondiali di ciclocross in Belgio si registrò la prima vera “vittima” della caccia al motorino. Parliamo della 19enne belga Femke Van Den Driessche, allora campionessa europea e nazionale in carica, che chiuse peraltro in posizioni di rincalzo quella corsa a causa di una caduta. Un sistema a scansione visualizzabile tramite un normalissimo tablet evidenziò la presenza di un motorino nella sua bicicletta.

L’atleta fu di fatto costretta a chiudere i suoi account social per evitare la lapidazione telematica, ma dichiarò come quella in realtà non fosse la sua bicicletta, dando adito all’idea che si trattasse di una macchinazione nei suoi confronti. Un po’ come se si fosse voluto dimostrare in qualche modo che la tecnologia messa in piedi dall’UCI per scovare le frodi tecnologiche era ormai a punto.

Il risultato è che la squalifica fu pesantissima, e della Van Den Driessche se ne sono perse definitivamente le tracce. Che poi il primo vero motore nascosto nelle bici è stato scovato in un autodromo (appunto a Zolder), rientra in quei casi di cosiddetta “ironia della sorte“.

Torniamo ai giorni nostri…

Certo la tecnologia ha fatto passi da gigante, come in tutti i campi che riguardano l’elettronica, e quello dei motorini elettrici non può essere da meno. L’albero motore azionato da una batteria sul movimento centrale è un sistema perlomeno sorpassato, dato che si è anche parlato apertamente di sistemi interamente contenuti nella ruota che sfruttano l’induzione elettromagnetica.

E’ un sistema che sfrutta la variazione del campo magnetico per generare corrente elettrica, che va poi ad alimentare un piccolo motore sul mozzo. Dunque non ha nemmeno bisogno di batteria, l’elemento che col suo peso ha pur sempre la sua incidenza. Per capirci meglio, un po’ come se si trattasse di una dinamo per le luci, ma ovviamente con gradi di complessità molto più elevati.

Il movimento centrale della bicicletta di Stefano Stagni

Quello che vedete sopra è il movimento centrale della bicicletta di Stefano Stagni. La foto è stata scattata la settimana scorsa direttamente dal presidente del suo team, Gianluca Faenza, che ce l’ha gentilmente inviata. Niente più e niente meno di una scatola del movimento centrale (con pedivelle Shimano) di una bicicletta in carbonio. I cavi che si vedono sono quelli che devono esserci (cambio, deragliatore e circuito idraulico del freno posteriore). Nessuna sorpresa.

Certo, vi abbiamo detto poco fa che volendo anche in una normale ruota può essere celato un aiuto tecnologico. Parliamo comunque di componenti ad altissima tecnologia che hanno anche dei costi molto alti (cifre a 5 zeri…). Ma a parte il malcostume e la maleducazione delle bufere social, in tutta sincerità dal nostro punto di vista emerge una considerazione di tipo semplicemente logico.

Se si ha qualcosa da nascondere sicuramente si fanno vedere e si condividono meno dettagli possibili di tutto. Come dire che il “criminale” vero vive nell’ombra… Barare, condividere le cose su piattaforme social come Strava e pensare anche di farla franca è impossibile. I dati sono pubblici e ci si trova poi a dover eventualmente andare a negare l’evidenza.

Un comportamento che sarebbe grottesco ma soprattutto da ingenui, per non dire altro… Stagni vanta una laurea in ingegneria, titolo di studio che molti dei suoi accusatori sui social possono a malapena sognare… Sciocco dunque non lo è, tutt’altro. Ci piace pensare allora che l’aver tenuto Strava condiviso sia un segno della sua buona fede.

Forse non si saprà mai come è andata realmente, ma ricordiamolo ancora una volta: non ci sono prove certe in questa faccenda. Tutto quello che è emerso sono solo illazioni, sospetti e ricostruzioni perlomeno parziali, troppo poco per meritare un processo sommario.