Fabio, che sta tornando dalla PBP in bici: «Io in nazionale, non ci credo ancora»

Fabio Frascari sulla via del ritorno: fino al 2015 era sempre andato in bici soltanto per spostarsi in città
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C’è chi non si accontenta di aver finito la sua prima Parigi-Brest-Parigi (in 82 ore e 18 minuti, per la precisione). Fabio Frascari sta tornando a casa da Parigi in bicicletta, «con calma però, ci metterò otto giorni, sono nella Loira adesso». Casa è in centro a Bologna, a porta San Mamolo, e Fabio fino al 2015 la bicicletta la usava soltanto per spostarsi. Da casa a scuola prima, da casa al lavoro più tardi. Niente sport. «Sai a scuola quando si fanno le squadre? Io ero quello che rimaneva sempre per ultimo, non mi voleva nessuno». Un giorno, otto anni fa (Fabio ne aveva 38), un amico gli propone una vacanza. «Perché non facciamo il giro della Sicilia in bici?». Fabio dice sì, e da quel momento cambia tutto. «Lui aveva una bici vinta con i punti della Esso, io la Bianchi Ragno che mi avevano preso alle medie. Però mi è piaciuto moltissimo. E ho cominciato a fare il cicloviaggiatore».

La prima randonnée è stata la Rando Imperator, da Monaco a Ferrara, «non l’ho finita, non ero preparato a prendere tutta quell’acqua, soprattutto di testa». Poi un giorno il suo amico Sergio Antolini dell’ARI gli cambiò la prospettiva. «Mi disse: hai il brevetto da 300, 400 e 600, ti manca solo un 200 per entrare in nazionale. Così l’ho fatto. Io in nazionale, ancora non ci credo. Alla PBP ho portato la divisa dell’Italia tutti i giorni, la gente ci riconosceva, gli italiani piacciono a tutti, ci vogliono bene. Mi ha sorpreso»

Non è una questione di record, di tempi, di arrivare prima. «Non mi ricordo neanche esattamente quanto ci ho messo. Però l’emozione me la ricordo: fare una curva e trovare le persone appostate giorno e notte all’ingresso e all’uscita dai paesi che ti aspettano per applaudirti, per dirti bon courage, alé, addirittura viva l’Italia, io non avevo mai pensato che potesse essere un plus. A Parigi un americano mi ha voluto per forza raccontare che i suoi bisnonni venivano dall’Italia, non ho capito bene da dove. Un malese mi ha ringraziato per averlo tirato per un po’, ”gli italiani sono buoni”, e comunque noi eravamo gli unici a pedalare con la maglia dell’Italia, era una bella macchia»

Fabio ha indossato sempre la divisa della nazionale: si era portato un cambio soltanto, ha viaggiato leggero

Fabio è andato a Parigi in aereo («va bene fare lo sborone, ma non esageriamo») ma al ritorno si gioca quel che resta delle ferie per pedalare ancora. Altri 1.100 chilometri, praticamente un’ulteriore randonnée. «Faccio parte di un gruppo ciclistico, il Team Leggero di Rocca di Roffeno: c’entrano poco con me, fanno Mtb assistita, però sono strasimpatici. E abbiamo creato un sottogruppo, gli Sklerociclisti»

Fabio conosce anche Guido Franchini e quelli del circuito dei santuari, anzi è stato lui a sviluppare la loro app, quella che appena arrivi in cima ti manda la medaglia e gli applausi. «È il mio mestiere. Sono responsabile dei sistemi informativi di un’agenzia per il lavoro, Lavoropiù, e tra le mie mansioni c’è lo sviluppo del software gestionale interno. Un paio d’anni fa ho visto che quelli del circuito erano indietro con le registrazioni, tu andavi al santuario nel weekend e la notifica ti arrivava il martedì, per cui la sera mi sono messo a studiarla, per sfida, e adesso c’è». Le imprese, i viaggi, gli amici, qualche volta anche la solitudine. «La PBP come fai a farla in compagnia? Sì, magari parti con altri ma ognuno crolla in momento diverso, se li aspetti non arrivi, credo che sia complicato anche in due, e super affiatati».

Fabio in bici fa circa 13mila chilometri l’anno, «l’anno scorso sono andato fino a Capo Nord con altri sklerociclisti». La sua compagna di viaggio è una Willier «senza nome», a catalogo come ciclocross, su cui ha montato gomme stradali, «è comoda, pesantina, sarà undici chili e mezzo, ma è un mulo, fa tutto». Fabio aveva fatto soltanto due 1.000 prima. «E questa era la prima da 1.200 chilometri, cambia parecchio: non sono i chilometri il problema, ma i giorni, anzi le notti. Alla PBP mi sono iscritto alle 84 ore ma per motivi organizzativi: sono partito alle cinque del lunedì mattina, questo vuol dire dover passare soltanto tre notti, e ho rispettato abbastanza il ciclo giorno-notte».

Non vi immaginate dei sogni d’oro. Fabio si è fermato due ore per notte. La prima volta in un cantiere aperto, le altre due in dormitorio. «Non uso il garmin, ma seguo quella che chiamo media tutto compreso (cioè comprese le pause) e mi tengo sui 14,8 km/h, so di non poter andare sotto i 14,6. L’ultimo giorno ho incontrato Alberto, uno di Casola Valsenio in divisa di lana e con una Petit-Breton del 1903, ho fatto tutta la tappa con lui, che in salita spingeva la bici, un po’ ho messo a rischio la mia PBP ma ero strafelice».

La prima avrebbe dovuto farla quattro anni fa, ma una frattura del gomito nell’ultima gara di qualificazione gli tolse questa gioia. «La prossima? Non lo so, non ho mai fatto due volte lo stesso viaggio. Però in questa randonnée c’è un’atmosfera che non ho mai trovato da nessun’altra parte, e mi piacerebbe riprovarla. Magari tra quattro anni potrei andare in uno dei villaggi sul percorso e aspettare che passino i randonneur, godermi gli spettacoli, la musica, l’atmosfera». La racconta con emozione, «corri verso la meta, Brest, con l’unico obiettivo di tornare indietro, non è una corsa ma il tempo ci domina e guida ogni attimo». Chi non ha mai provato ha una domanda in testa: perché? E la risposta è in quell’atmosfera, in quell’impresa, in quelle maglie azzurre che fanno dire ai bambini bretoni “vive l’Italie”, in quel desiderio di capire quale sarà mai il tuo limite, il tuo passo, e quanto potrai resistere.