La storia di Lorenzo: «Sono cieco, ma amo la bici. Datemi una PBP ogni anno e immaginerò il mondo»

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Lorenzo Genovese s’è innamorato perdutamente della Parigi-Brest-Parigi, tanto da volerne fare una all’anno. Lorenzo Genovese l’ha vissuta in tandem, la scorsa estate, guidato da un suo caro amico, Sandro Calcatelli. Lorenzo Genovese l’ha immaginata, vissuta, sentita, toccata e persino vista. A modo suo, con una sensibilità che può avere soltanto chi purtroppo, come lui, è rimasto cieco fin da bambino. Non voleva correrla, lui, gli facevano paura la distanza, tre giorni e tre notti intere a pedalare forsennatamente concedendosi solo brevi momenti di riposo, e le condizioni meteo, che talvolta, a quelle latitudini, anche in agosto, sono proibitive. Gli sembrava un’impresa impossibile, qualcosa solo per matti. Con la forza di volontà, la perseveranza, l’impegno ha compiuto invece un autentico exploit. E quando pensa al suo risultato, 1.200 chilometri in 72 ore e 39 minuti ore, è fin troppo severo con se stesso. «Ho impiegato troppo tempo. Le soste sono state troppo lunghe, le ore in sella sono state solo 48, ciò significa che siamo rimasti fermi per ben 24 ore, un’esagerazione. Se potessi rifarla subito, m’imporrei di terminarla in almeno sei ore in meno. L’obiettivo alla prossima sarà di 65 ore». Ma solo tra quattro anni. «Non posso pensarci. Sarà un calvario dover aspettare ben quattro anni. Una manifestazione così bella e affascinante dovrebbe essere organizzata ogni anno». Ogni anno? «Sì, certo, ogni anno. Io sarei pronto a rifarla anche tra un mese. Mi è rimasta nel cuore».

Lorenzo Genovese ha 53 anni, è calabrese, vive a Sant’Eufemia, quasi sulla punta della Penisola. Ha lavorato a lungo anni come centralinista al tribunale di Palmi ed ha scoperto la bicicletta nella primavera del 1991, partecipando a Vasto a una gara di tandem per non vedenti. In questo trentennio ha pedalato dappertutto, in Italia e all’estero, conquistando successi a ripetizione. «Non riesco ormai ad immaginare la mia vita senza il ciclismo. Sono ormai in inseparabile simbiosi con questo magnifico sport, io e la bicicletta siamo un tutt’uno. Col tandem, poi, si crea con il partner un rapporto particolare, un’alchimia difficile da spiegare».

La sua guida, Sandro Calcatelli, la Parigi-Brest-Parigi l’aveva già corsa tre volte, da solo (nel 2007, 2011 e 2019), e brillantemente portata a termine in un’occasione addirittura in 59 ore. È stato lui, un grande appassionato di Frascati, ora sessantenne, a trascinarlo in questa indimenticabile avventura. «Lui ed altri amici – precisa Genovese -. Io non volevo andarci. All’inizio deel 2022, a seguito di una caduta, avevo riportato la frattura del femore e temevo, una volta ripresa l’attività, di non poter più tenere gli stessi ritmi del passato. Se ora posso pedalare ancora, lo devo al dottore Pino Calabrò, degli Ospedale Riuniti di Reggio Calabria, che mi ha operato con enorme bravura e mi ha così consentito di tornare in sella. Qualche mese dopo l’incidente, infatti, andavo come prima. Anzi di più, con tanta forza in corpo. Calcatelli mi ha convinto a testarmi a maggio 2022 nella Sicilia Non Stop, il periplo dell’isola, 1.000 chilometri. Terminata con ottime sensazioni in 63 ore».

E allora perché non provare la Parigi-Brest-Parigi?
«In Sicilia ho capito che la leggendaria gara francese sarebbe stata alla mia portata. Abbiamo continuato ad allenarci, io e Sandro. Lui è molto bravo e paziente e soprattutto ha grande esperienza. E quell’esperienza l’ha messa anche al mio servizio, sia in Sicilia che in Francia. ‘Devo sapere come stai’, mi dice sempre ogni mezz’ora. Spesso mi chiedo chi possa fare i miracoli, forse il buon Dio, ma c’è anche chi li fa in terra e lui, Sandro, il mio angelo custode, senza rendersene forse conto, quando pedaliamo insieme mi regala la vista».

Il tandem Calcatelli-Genovese ha partecipato ai brevetti qualificativi per poter accedere alla partenza della PBP. Tutti superati brillantemente. Poi la grande avventura, la più entusiasmante esperienza ciclistica per migliaia di appassionati.
«Chi non l’ha fatta non può immaginarsi così sia realmente. Dovrebbero farla tutti. È una festa. Che dura per quattro giorni. Per chi affronta la gara, per chi la segue, per chi vi assiste, per tutto quell’angolo di Francia che si addobba solennemente come quando passa il Tour de France. Un’indimenticabile percorso sensoriale che ti lascia il segno».

Le emozioni, alla PBP, non sono soltanto visive ma coinvolgono anche gli altri organi. Gli odori, i sapori, le voci, i silenzi. E tante cose da toccare.
«L’erba sulla quale ti corichi per riposare, le eccellenze gastronomiche offerte lungo la strada dalle famiglie bretoni, gli abbracci ai controlli e all’arrivo ai randonneurs che condividono la tua passione, la tua fatica, i tuoi obiettivi. Senza dimenticare le bici. Mi sono letteralmente commosso quando ho potuto toccare le biciclette di tanti amici, provenienti da tutto il mondo. Chiedevo di poterlo fare, mi accompagnavano ed io tastavo con grande piacere manubri, telai, selle, pedali, acciaio, carbonio, alluminio. Ho toccato persino le bici reclinate e le velomobili, quelle bizzarre tre ruote con la scocca carenata».

Qual è stato il momento più bello, emozionante, indimenticabile?
«È un’atmosfera unica, davvero difficile estrapolare pochi istanti da un’esperienza che per tre giorni e tre notti intere ha regalato suggestioni inimmaginabili. Di sicuro ha conquistato il mio cuore l’entusiasmo del pubblico. Le strade della PBP, specie in Bretagna, erano piene di pubblico. E tu ti senti un eroe. I paesi scendono sul percorso. E restano lì per tre giorni. Non solo gli appassionati di ciclismo. Tutti. Uomini e donne, anziani e bambini. Le famiglie ti offrono cibi, bevande e ti aprono i loro garage, i loro scantinati, con i materassi sui quali poter riposare qualche ora. I ragazzini ti acclamano, ti rincorrono, vogliono un ricordo, una borraccia, un cappellino o anche solo un amichevole cinque».

Già da ragazzino avresti pensato di poter fare da grande una simile impresa.
«Mio nonno mi trasmise la passione per la bicicletta. Me ne regalò una quand’ero ancora piccino e fu un seme che poi è germogliato».

Sport di fatica, una scuola di vita.
«Tante volte mi chiedo perché, come tanti ciechi, non sono diventato pianista. Avrei avuto un’esistenza più tranquilla, suonare in questo o quel locale. Invece la mia vita all’aperto, totale libertà, fatica sì, ma orizzonti ampi. Non ho rimpianti, il ciclismo lo adoro».

È un entusiasmo dirompente, non ti lascia mai?
«Eh no, a volte ho momenti di grande tristezza. Pur essendo in buona misura autonomo, so che per praticare il ciclismo ho sempre bisogno di una guida, un bene preziosissimo che però non potrò mai ripagare, e questo a volte è per me causa di frustrazione. Per fortuna, poi, la tristezza dura poco e ritrovo la spinta che mi proietta sempre verso nuovi traguardi».

La performance del tandem Lorenzo Genovese-Sandro Calcatelli

Per un’altra Parigi-Brest-Parigi dovrai allora attendere ben quattro anni. Come colmerai questo vuoto?
«Ho appena saputo che nel 2024 si correrà un’altra importantissima non stop, questa volta in Italia, la 1001Miglia. Mi sono messo subito in contatto con Sandro Calcatelli. Stiamo studiando il progetto. Sono 1.600 chilometri ma queste distanze non mi fanno più paura. Anzi, sono una molla pazzesca».

E poi nel 2027 di nuovo a Rambouillet. Obiettivo?
«Chi è agonista da sempre, come me, non si accontenta mai. La prossima PBP in 65 ore».