Omar Di Felice e la TransAm: «Quella notte che poteva essere l’ultima»

Omar Di Felice ha chiuso la TransAm in 18 giorni, 10 ore e 13 minuti (foto Omar Di Felice)
Tempo di lettura: 2 minuti

Ecco una storia che non potete assolutamente perdervi. Raccontata in prima persona dal protagonista. Uno che conoscete molto bene: stiamo parlando dell’ultracycler Omar Di Felice. L’atleta romano a fine giugno è stato il primo italiano a vincere la TransAm: diciotto giorni, senza assistenza, dormendo pochissimo e dove capita. Omar ce l’ha raccontato un paio di giorni dopo in un’intervista esclusiva molto bella. In cui ha detto di aver rischiato l’ipotermia durante l’ultima notte, in Virginia. Ma ecco, che a qualche giorno di distanza, Di Felice è tornato su quelle ore drammatiche e ha condiviso il suo accorato racconto sui social. Ecco le sue parole:

Questa è la storia dell’ultima notte e di un dramma (sportivo) quasi sfiorato. Avevo quasi 100 miglia di vantaggio quando il maltempo si è abbattuto sul percorso. Mancavano poco più di 200 Km e dopo aver dominato la gara nell’ultima settimana sentivo di averla in pugno. Quella notte accadde qualcosa di tremendo: il freddo e la pioggia incessante mi erano entrati nelle ossa mettendo a terra il fisico già provato da 17 giorni in cui lo sforzo, la privazione del sonno e le condizioni meteo avevano già fatto il resto. Arrivai nel cuore nel piccolo villaggio di Mineral in preda ai brividi e incapace di tenere il manubrio. Mi buttai dentro un piccolo ufficio postale cercando di scaldarmi come potevo nel bivacco d’alluminio ma ciò non poteva bastare. Cercai allora qualcuno che mi aprisse trovando un B&B come ultima ancora di salvezza. Chiuso nel letto e con il braccio fuori dalle coperte per reggere il phon con cui tentare di asciugare la divisa, non riuscivo a fare altro che tremare. Io che conosco bene i rischi derivanti dall’ipotermia sentivo di essere ormai quasi sotto la temperatura limite. Ripensai a tutti i drammi sportivi derivanti dalle sconfitte clamorose, da quelle rimonte improbabili di cui non volevo essere vittima. Ripensai a quel momento, in Antartide, quando l’aereo di soccorso si staccò da terra mettendo fine al mio sogno.

“Omar alzati, se Pawel dovesse riprenderti non avrai più la forza morale oltre che fisica di farlo e sarà la fine non solo di questa corsa..”

Quando il tracker segnò solo 25 miglia di distacco mi scattò qualcosa dentro. Mi alzai con uno sforzo sovrumano radunando le poche cose e tornando a spingere forte sotto al nubifragio. Con la forza della mente e del cuore il vantaggio riprese a salire, poco per volta. Mi trascinai per ore, fermandomi ogni due per 15’ di microsonno e per tentare di scaldarmi finché vinsi questa guerra di nervi tra me e il mio inseguitore. Il resto è storia che tutti conoscete, ma quella notte rischiò di diventare la più brutta della mia carriera. Se quella notte avessi lasciato che si consumasse il mio dramma sportivo, probabilmente, ora vi starei raccontando la fine di tutto…