Andrea Ferrigato ha corso su strada da professionista fino al 2005, per questo non ha mai potuto disputare la Strade Bianche che è nata solo due anni dopo il suo ritiro. Per poter vivere l’emozione di correre sugli sterrati senesi, però, ha spesso preso parte alla Gran Fondo che ripercorre i settori affrontati dai pro’. Quest’anno ha vissuto la GF Strade Bianche da una prospettiva nuova – un ristoro posto a 100 chilometri dal traguardo per servire da bere ai granfondisti – e così ha potuto farsi un’idea più chiara dello spirito con cui viene affrontata dai ciclisti.
«Premessa: la Gran Fondo Strade Bianche è bellissima. Incorniciata in un territorio stupendo, non può che lasciare a bocca aperta chiunque partecipi: sembra di pedalare in un quadro. Il problema è chi partecipa».
Cosa intendi?
«Tra tutti i partecipanti, e non solo alla Strade Bianche ma a tutte le Gran Fondo, purtroppo c’è un gruppo di 300 o 500 ciclisti che interpreta le gare come se fossero a traffico chiuso, come se si trattasse di un circuito di quelli che fanno gli amatori o peggio si comportano come i professionisti. Se stessero disputando una gara di amatori, allora sarebbero tutti sullo stesso piano a battersi per il podio. E se fossero professionisti sarebbero legittimati a non fermarsi per ricevere una borraccia o a buttare le cartacce per terra nelle apposite green zones, invece partecipano semplicemente a una Gran Fondo fatta per divertirsi e ammirare ciò che c’è intorno».
Come dovrebbe essere interpretata una Gran Fondo secondo te?
«Io credo che alle Gran Fondo è giusto che partecipino tanti ciclisti e non tutti con un’elevata preparazione. Mi pare invece che manchi un po’ di rispetto dell’altro. La maggior parte dei granfondisti è sicuramente gente che si allena e si prepara per fare una buona prestazione o migliorare quella fatta l’anno precedente, ma è anche gente che si guarda intorno e si ferma per scattare delle fotografie. Tanti stranieri, soprattutto, accostano per guardare il panorama. Ecco, quello che corre solo per fare podio non può permettersi di prendere a brutte parole il cicloturista o schivarlo all’ultimo perché va troppo forte».
Il rischio qual è?
«Prima di tutto si corre un rischio legato alla sicurezza. Il lato negativo della GF Strade Bianche – non fraintendetemi, è anche un punto a favore – è che si può scegliere tra due percorsi che però a un certo punto si incanalano sullo stesso tracciato. Gli ultimi 20 chilometri sono quindi percorsi ugualmente da chi ha fatto il lungo e chi il corto, ma il ciclista che partecipa per diciamo divertimento diventa d’intralcio a quelli che gareggiano per il risultato. Non solo schivano, ma urlano e insultano. Non proprio una bella rappresentazione del movimento italiano».
E dare questa immagine agli stranieri che vengono in Italia per la Gran Fondo è un altro rischio.
«Esatto, il grande rischio è che se gli stranieri si trovano in queste situazioni poi non ritornano. Quando vengono per correre si fermano 4 o 5 giorni e si portano la famiglia, l’italiano invece prenota per una sola notte. Io ora lavoro nel settore del turismo e quindi lo vedo che sono gli stranieri a far girare l’economia. Ho spessissimo clienti dall’estero che rimangono anche abbastanza colpiti, ma non ne è mai ritornato nemmeno uno. E allora mi chiedo: se gli è piaciuto tutto, cosa è stato sbagliato? Non vorrei che la risposta stia negli ultimi 20 chilometri della GF Strade Bianche, per esempio».
Che misure bisognerebbe adottare allora?
«Togliere il podio. Magari se non si aspettano di ottenere in cambio qualcosa per la vittoria o di essere acclamati per la loro prestazione, allora correrebbero più civilmente una Gran Fondo. Oppure potrebbero imitare il Fiandre: la partenza è alla francese in due ore e comunque si divertono tutti, tanto che molti ritornano. La domanda è: perché qui cerchiamo l’agonismo mentre in Belgio non si insegue il risultato a tutti i costi? O meglio, inseguono il risultato ma con un’etica».
In Italia potremmo mai arrivare realmente ad interpretare le Gran Fondo come in Belgio, o perlomeno come lo si faceva anni fa?
«Purtroppo devo dire di no. Stiamo perdendo numeri alle nostre Gran Fondo e non si può più dare la colpa solo al Covid. E dirò di più. I numeri sono destinati a calare ancora se chi partecipa continuerà a comportarsi in questo modo. Bisogna garantire lo spazio a chi non è agonista, solo quello. Nessuno si è mai chiesto perché stanno emergendo così tanto il gravel e le social ride? Perché hanno sdoganato l’idea di pedalata tranquilla e piacevole: la tendenza è quella di cercare il divertimento insieme al piacere di pedalare».