Comastri, il saluto degli amici: «Ci hai insegnato che si può fare, ciao campione»

Reading Time: 4 minutes

Per salutare Loredano Comastri, ucciso giovedì scorso sulla strada e salutato ieri da un immenso corteo silenzioso di ciclisti come lui e di biciclette, abbiamo rubato le parole di Enrico Pasini, cicloscrittore del gruppo del Circuito dei Santuari, amico di Loredano. Parole bellissime che vogliamo condividere con voi lettori di Cicloturismo. Qualcuno di noi conosceva Loredano per averlo incrociato in una delle sue tante imprese, altri non l’hanno conosciuto ma è come se lo avessero fatto.

«Tutti ti hanno chiamato amico. Eri un loro amico, eri un nostro amico, bastavano poche uscite in bici per considerarti tale. Anche io ho un ricordo, nitido, di una Granfondo fatta insieme. Era il 2004 o il 2005, eravamo a Gaggio Montano, alla Granfondo Saeco. Pioveva a dirotto, e molti decisero di non entrare in griglia, di non partire. Saremo partiti in cento, forse duecento, non di più, se ricordo bene il lungo fu annullato, tutti sul medio. Io e te eravamo tra quei duecento temerari. Ci trovammo quasi subito arrivati in Porrettana, facemmo la prima salita verso Castel di Casio insieme, poi la seconda, e anche la terza. Verso la fine, ero davanti a tirare, tu alla mia ruota, mancava poco alla fine della discesa quando ad una curva a destra toccai leggermente i freni e mi ritrovai sdraiato sull’asfalto.

Tu mi evitasti, per fortuna tutti riuscirono ad evitarmi, vi vidi andare via, mi rialzai e salii in sella. Non vi ripresi più e caracollando arrivai al traguardo. Non so se quella volta sei riuscito a vincere la categoria ma so che all’arrivo eri li ad aspettarmi. E mi fermasti subito, fotografo al tuo fianco perché volevi farmi una fotografia, perché finire una gara dopo una caduta così non era da tutti. E qualche settimana dopo al lavoro, a quei tempi eravamo colleghi, ti presentasti un pomeriggio in reparto per consegnarmi quella foto, ricordo di una vera impresa. Eri così, un vero amante della bicicletta a 360 gradi.

Eri capace di stare affianco a quello più in crisi, trascinandolo al traguardo, come di lasciarmi lì a cambiare la camera d’aria perché dovevi finire l’allenamento senza soste. Chi non ti conosceva personalmente ti riconosceva come quel signore dai grandi baffi che ad ogni Giro dell’Emilia saliva e scendeva dalle Orfanelle in attesa del passaggio dei Pro. Non di rado la domenica se vedevi Franco e i ds della Ceretolese parcheggiare sotto casa, scendevi subito per sapere come erano andati i ragazzi.

Dove c’era della fatica da fare tu c’eri, mi ha raccontato Claudio che quando hai imparato che avrebbe fatto la nove Colli, una tutti i giorni della settimana, per sette giorni di fila, gli telefonasti e gli chiedesti se non era un disturbo se lo accompagnavi per un paio di giorni nel suo tentativo. Claudio accettò di buon grado lo accompagnasti per due giorni e il terzo arrivasti fino al Barbotto per tornare poi a Zola. In bici naturalmente.

Eri agonista, e non lo so in realtà, ma secondo me eri agonista anche a giocare a carte. In pochi sanno che ti piaceva giocarci, non era raro vederti al Gideon a Riale seduto al tavolino. Varie volte quando portavo il cane dei miei a fare la tonda ci siamo fermati a parlare. Io guardavo sempre se c’eri e tu scendevi gli scalini e venivi a scambiare due chiacchere. Era così per me, era così anche per Filippo, che ogni volta che passava davanti al Gideon ti cercava e ha detto che continuerà a farlo, continueremo a cercarti con lo sguardo anche se non scenderai più quei scalini.

Al Gideon non so se prendevi il caffè, perché a te i caffè piaceva andarli a prendere più lontano. Tipo a Peschiera. Zola-Lago di Garda, giro completo del Lago e ritorno a Zola. 430 km in totale, partito alle 5 di mattina, tornato a casa alle 23 dello stesso giorno. E non da solo, perché ti portasti dietro anche Guido. Un’impresa, ma diciamoci la verità, non tanto per il giro, ma per esserti portato dietro per 18 ore Guido che ha detto che senza di te una pazzia così bella non l’avrebbe mai fatta. Tu lo hai fatto e lo hai fatto fare. Perché si può fare.

Si può fare. È quello che ci hai insegnato. Si può fare, ci si può reinventare, si possono fare le maratone a piedi, poi le camminate per passare alle medio fondo in bici, si può fare duatholon, thriathlon, e poi innamorarsi delle Granfondo in bici, diventare Campioni del mondo della specialità, e passare alle Randonee, terminare la Parigi Brest Parigi già a pensione avviata per poi tornare a fare alle Granfondo. L’importante è pedalare. Si può fare.

Veronica in arte Cara Biga ha detto che da grande vorrà essere Loredano. Anche io vorrò essere Loredano. Anche se forse non farò più gare, anche se non potrò più tirarmi il collo e oltrepassare i miei limiti fisici, vorrò essere come te, muovermi sempre nella fatica che potrò permettermi. E anche un filino più in là. Quello che vediamo noi è che questa volta sei stato fermato, come non dovevi essere fermato. Come siamo stanchi di vederlo, di condannarlo, di piangerlo.

Lavoreremo, e lo sai che lavoriamo bene, per impedire altri momenti come quelli che stiamo vivendo in questi attimi. Ti abbiamo voluto salutare con un gesto semplice, silenzioso, di amicizia, di pace, alla tua ruota per l’ultima volta. Lo meriti tu perché ci lasci tanto, lo merita la tua famiglia, perché essere moglie e figlio di un ciclista non è mai semplice e con i tuoi caffè era forse ancora più complicato. Ti hanno fermato, così ci appare, ma in realtà giovedì scorso, stanco di stare inerme su quel lettino, ad un certo punto ti sei alzato, sei uscito dall’ospedale e subito li fuori dal Maggiore, hai slegato la tua bici, sei salito in sella e hai cominciato a pedalare.

Ciao Campione. W Loredano».