VITE NUOVE / Aire Libre, in bici fino alla fine del mondo con Diletta & David

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Diletta Libenzi parla indifferentemente italiano, inglese e spagnolo, ma verso la fine della chiacchierata il suo accento marchigiano viene in superficie. «Quando parlo per un po’ di tempo in italiano salta fuori che sono di Ancona». Ride. Venticinque anni, gli ultimi passati tutti lontano da quella che era casa: studi internazionali a Maastricht, «una volta all’estero è difficile tornare», un anno a Bruxelles, e un master a Copenaghen in Global Studies and International Development. In mezzo, la pandemia. «Avevo fatto sei mesi di Erasmus in Cile, dovevo tornarci per un lavoro con le Nazioni Unite, poi è arrivato il covid e non sono più partita». Da tre anni nella vita di Diletta è arrivato anche David, che è tedesco ma è nato e vissuto a Bruxelles. «Lui in bici si allenava per l’Ironman, per me invece era soltanto un mezzo per andare da casa all’università, dall’aula al lavoro, e poi ancora a casa. Per me l’unico sport era la corsa a piedi». Il resto lo ha fatto Copenaghen, «lì fanno tutto in bici, tutti, e allora me ne sono comprata una anch’io».

Da lì alla storia che stiamo per raccontarvi il passo è relativamente breve. In realtà Diletta racconta di lunghe discussioni su qualsiasi cosa, ma l’obiettivo era quello di programmare tutto il possibile. «Avevamo in mente un viaggione, e per due anni abbiamo messo via i soldi, senza neanche sapere a che cosa ci sarebbero serviti. In Danimarca è relativamente facile, perché mentre studi puoi lavorare part-time e se lo fai lo Stato ti dà dei soldi in più. Però per due anni non siamo mai andati a cena fuori, tutto finiva nel budget del viaggio. L’idea era quella di risparmiare soldi a sufficienza per resistere fino a maggio: c’è gente che durante il viaggio si ferma tre settimane in un ostello per lavorare, ma noi non volevamo farlo». L’unico impegno sarà pedalare, attraversare il mondo con la lentezza consentita dalle bici, fermarsi a parlare con la gente, fotografare e riprendere, magari con l’idea di dare una forma diversa a quest’avventura una volta ritornati, «un libro, o magari un documentario».

Intanto l’itinerario prendeva forma. «Non è stato un viaggio in bici dal principio. Siamo passati anche per la fase van, sempre senza sapere quale sarebbe stata la destinazione. Ci tentava la Panamericana, ma partendo dal Messico anziché dall’Alaska. Ma come? Intanto ero circondata dalle bici, era come se mi dicessero qualcosa: non soltanto a Copenaghen la usano tutti, ma una ragazza che lavorava con me era appena andata in bici da Amsterdam fino al Nepal. Piano piano ha preso forma l’idea di fare il viaggio in bicicletta».

L’idea iniziale era quella di partire dal Messico e di arrivare alla fine del mondo. Strada facendo Diletta e David hanno scelto di partire dalla Colombia per evitare tratte in aereo («ci sono paesi dove non si può andare con la macchina fotografica»), e da quel momento l’obiettivo finale è diventato pedalare fino al Parco della Patagonia. «E vogliamo arrivarci prima che si ghiacci tutto, quindi a maggio». Il momento più difficile è stato quando a tutti e due è stato proposto un posto fisso. «Lavoriamo entrambi all’Istituto dei Diritti umani, è davvero un bel lavoro, e quando ci hanno proposto di rimanere è stato davvero difficile. Quanti direbbero di sì? Ma abbiamo resistito nella nostra idea di fare questo viaggio, e da lì in poi è stato tutto più facile».

Diletta e David hanno chiamato il loro viaggio Aire Libre, Aria Libera, per questo non sarà una corsa contro il tempo. Le discussioni però non erano ancora finite. «Per esempio: comprare la bici là o qui? Alla fine abbiamo deciso di comprarla a Copenaghen per perdere meno tempo e avere anche modo di provarla e di allestirla esattamente come volevamo». Hanno guidato fino in Germania per trovare due Focus Atlas esattamente come volevano, hanno preso tutte le informazioni possibili per equipaggiarle al meglio, e venerdì 29 settembre partiranno dall’aeroporto di Bruxelles. «Voleremo in Messico, e da lì un altro aereo fino in Colombia». Cinque giorni a Bogotà per montare le bici e adattarsi all’altitudine. «Abbiamo la tenda, ci fermiamo dove possiamo. Un ragazzo belga che ci ha spiegato che dormire per strada in Colombia è quasi impossibile, è tutta proprietà privata. Vorrà dire che andremo negli ostelli e negli hotel economici». L’itinerario è salvato su Komoot, in tutto sono 15mila chilometri. Diletta ride. «Il massimo che ho fatto in un giorno solo sono 100 chilometri». Non ci sono tappe prestabilite, se no che aire libre sarebbe. Esiste un’idea generica di metterci un mese a uscire dalla Colombia, altri due mesi per attraversare l’Ecuador. «Faremo una strada che è solo per mountain bike, la Tembr (Trans Ecuador Mountain Bike Route). Come vado in salita? Meglio che in discesa». L’importante è essere a Cuzco, in Perù, a Natale. «Vengono i miei genitori». Ultima tappa a maggio in Argentina. «Che cosa mi attira di più? In generale l’idea di viaggiare lentamente in così tanti posti, parlare con così tante persone, fermarsi in mezzo al nulla e poter vedere così tante cose diverse nello stesso continente. In Bolivia attraverseremo il Salar de Uyuni, il deserto di sale a oltre 3.600 metri di altitudine. Ci metteremo quattro o cinque giorni, te lo immagini?».

Che Aire Libre abbia inizio, Diletta e David condivideranno con noi di Cicloturismo il loro viaggio, inviandoci foto e pagine del loro diario di viaggio per i prossimi nove mesi. Siete pronti a fare questo giro fino alla fine del mondo?

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