Nel mondo di Manuel Senni: il vincitore della Nove Colli si racconta

Manuel Senni ha vinto in solitaria, domenica 24 settembre, la 52ª edizione della Nove Colli.
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Manuel Senni ha realizzato domenica alla Nove Colli un piccolo sogno (leggi qui la notizia). Lo avevamo sentito telefonicamente dopo la vittoria dell’Oetztaler di Soelden. Ci aveva raccontato che il suo prossimo prossimo obiettivo era… vincere in casa! E stavolta ci è riuscito. La Nove Colli gli era sfuggita lo scorso anno ed era stato ripreso sul Gorolo, ultimo colle della corsa. Quest’anno è andata diversamente e si è aggiudicato il successo arrivando da solo sul traguardo di Cesenatico. E così, prendendo spunto da quell’intervista e dalla vittoria della Nove Colli, lo abbiamo disturbato di nuovo…

Ex professionista fino al 2021, Manuel Senni dalla scorsa stagione è diventato un granfondista come tanti, attirando anche qualche critica per questa scelta. Si è scrollato di dosso le ansie dei risultati e ha superato i problemi fisici che lo hanno costretto al ritiro dal ciclismo professionistico. In questi ultimi due anni ha iniziato con le Gran Fondo e ottenuto risultati molto importanti.

Manuel, prima di tutto come stai?
«Adesso molto bene. Poi dopo la vittoria alla Nove Colli ancora meglio. Vincere in casa è una sensazione fantastica».

Che emozione è stata trionfare a Cesenatico?
«Per un romagnolo, la Nove Colli è come vincere in un campionato del mondo. Con le dovute proporzioni ovviamente. La gente ti riconosce, ti chiede foto, ti abbraccia. Io sono nato qui, è la corsa di casa, famosa in tutto il mondo. Qualcuno ovviamente mi ha criticato per il mio passato, ma non ci penso. Le critiche non rovinano questa soddisfazione».

Ci racconti un po’ la “tua” corsa? Come si è sviluppata?
«E’ andata via subito una fuga e all’interno c’era anche mio fratello Michele, che poi si è staccato. Il distacco aumentava e all’attacco del Barbotto la fuga ha accumulato 6 minuti di vantaggio. A quel punto non pensavo sarebbe stata la mia giornata…».

E poi?
«Mi sono messo l’anima in pace e ho pensato solo a divertirmi. Ho fatto il Barbotto a tutta e nell’ultimo tratto sono andato via. All’attacco del Maiolo (il Pugliano, ndr) avevo 4 minuti di ritardo. L’ho affrontato a tutta e forse davanti si sono risparmiati. Allo scollinamento il distacco era poco superiore al minuto. In fondo alla discesa per la prima volta ho visto il gruppo di testa. Quando sono rientrato, ho forzato subito e sono andato via».

La pioggia è stata un’alleata?
«Ha reso di sicuro la corsa più dura. Io non la soffro, ma patisco molto il freddo, sono sempre molto coperto. Per fortuna domenica scorsa la temperatura non è mai stata troppo bassa».

Facciamo un passo indietro: hai superato tutti i problemi fisici?
«Sì, il periodo sfortunato, con mille problemi, ormai è alle spalle. Ora sembra tutto sistemato».

Ti va di raccontarcelo?
«Ne ho avuti parecchi di problemi. Dopo l’anno in Bmc iniziavo a vedere i primi risultati, ma nell’inverno 2017 ho avuto la mononucleosi. Poi mi sono fratturato il femore al Giro d’Italia. L’anno dopo sono stato investito».

Il 2019 doveva essere l’anno del riscatto. E invece…
«E invece al rientro sono iniziati i problemi alla gamba sinistra, con tre interventi all’arteria che non sono andati a buon fine. Gli stent inseriti si sono piegati e c’è stato bisogno di un ulteriore intervento di pulizia dell’aorta, a febbraio 2020. Mi avevano detto che forse non sarei più tornato ai livelli di prima. Ma sono andato avanti. Nel 2021 ci ho riprovato, praticamente a spese mie, ma sono stato investito di nuovo. Ero stanco di mettercela tutta per rientrare».

Ti senti un po’ in credito con la fortuna?
«Ora sono riuscito a trovare un paio di stagioni senza problemi e mi ritengo già fortunato per questo. Non so dirti a che livello sono rispetto a quando ero professionista, ma mi diverto e questo già basta».

Cosa è la bicicletta per te adesso?
«Prima era il mio lavoro e la mia vita, adesso è un divertimento. Per le Gran Fondo ci muoviamo sempre con un po’ di amici o con la famiglia e scegliamo le prove in belle località. La vittoria della gara è soltanto la ciliegina sulla torta».

Ma sono arrivate tante vittorie nell’ultimo periodo…
«Sì, è vero. Ma non le ho cercate più di tanto. Dopo la fine della convalescenza mi sono ripreso a livello atletico e sono rientrato nel mondo del ciclismo, ma principalmente per lavoro».

Che lavoro fai adesso?
«Sono bike manager al Lungomare Bike Hotel di Cesenatico e lavoro anche come meccanico nel negozio Sport Bike, sempre a Cesenatico. In pratica accompagno i ciclisti nei loro giri in bicicletta. Sono stati loro a convincermi a rientrare nel ciclismo, anche se dal mondo amatoriale. E’ iniziato tutto così, un po’ per gioco».

Quindi ti alleni lavorando?
«Esatto. Io al Lungomare Bike Hotel gestisco il settore bike e i tour per i turisti. Si decide il giro in base al livello di allenamento dei ciclisti e alle località che vogliono vedere. Tante volte capita di fare delle vere e proprie passeggiate, a volte invece è un allenamento più che completo».

Qual è la tua giornata tipo oggi?
«Arrivo in hotel alle 8 e alle 8,30 inizia l’uscita con i turisti. Rientriamo verso le 12-12,30. Alle 13 di solito parte il gruppo di Sport Bike ed esco con loro, per un paio d’ore come si deve. Rientro per le 15 e alle 15,30 sono pronto per entrare in negozio e lavorare fino alle 19,30».

Questo ritmo, tutti i giorni?
«Non tutti, dai. A volte dopo pranzo mi riposo. In inverno invece lavoro sempre da Sport Bike e mi alleno in pausa pranzo, anche se la stagione della bici ormai è lunghissima, ci siamo fermati soltanto da metà novembre a marzo».

E per gli allenamenti lunghi in vista delle Gran Fondo? Come ti gestisci?
«Nei periodi di avvicinamento, magari al mattino esco un’oretta prima di andare in hotel. Nelle Gran Fondo la tua resa è concentrata su un singolo giorno, quindi se il giorno dopo sei finito non conta niente. E poi le corse domenicali sono un ottimo allenamento, basta aggiungere un’altra uscita specifica in settimana e sei a posto».

Fai più chilometri ora o quando eri pro’?
«Non scherziamo. Ne facevo di più da professionista».

Quanti?
«Lo scorso anno ho chiuso a 25.000 chilometri. Ma cambia la qualità. Quando preparavo le gare a tappe c’erano blocchi di lavoro enormi, neanche paragonabili a quelli di adesso. Certi allenamenti non puoi farli se il giorno dopo devi andare a lavorare. Io in hotel seguo i gruppi che vogliono pedalare di più. A volte capitano belgi o francesi che in una settimana ti fanno accumulare 800 chilometri. Basta quello per andare in condizione».

E poi in questo modo fai l’ambasciatore del tuo territorio.
«E questo mi piace molto. Fortunatamente dopo l’alluvione siamo riusciti a sistemare tutto in pochi giorni e abbiamo salvato la stagione. La Romagna si è rialzata in fretta».

La tua è una famiglia di corridori, giusto?
«Praticamente sì. Mio fratello Michele ha 30 anni, uno meno di me, e fa l’amatore anche lui. Mia sorella Elena di anni ne ha soltanto 12 e ha iniziato da pochissimo. Ha voluto cominciare lei, senza nessuna pressione…».

Come nasce la tua passione per la bici?
«Ho iniziato a correre a sette anni. Mi sono innamorato della bici dopo aver visto una gara di giovanissimi, a Cesena. Giravo attorno a casa con la bici, indossando le maglie che mi portava il mio vicino di casa, che correva anche lui. Avevo già la passione per Pantani e per la salita. E volevo sempre arrivare da solo. Quel carattere me ne ha fatte buttare di corse!»

Come la Nove Colli del 2022…
«Esatto. E come alla Maratona delle Dolomiti, quando ho attaccato sul Giau e alla fine sono scoppiato. Anche da Juniores perdevo tante corse per la voglia di attaccare. Ma va bene così, è divertente lo stesso».

La Nove Colli è la prova più importante conquistata?
«Insieme a Oetztaler, alla Sportful Dolomiti Race e alla Marcialonga. Sono le più belle. A Soelden ti confronti con corridori forti e atleti in attività di squadre Continental (secondo e terzo quest’anno sono giunti Alban Lakata, tre volte campione del mondo Marathon di Mtb, e l’ex pro’ Johnny Hoogerland, ndr). Ma a Cesenatico l’atmosfera è stata fantastica».

Segui ancora le tabelle di allenamento?
«No, mi alleno molto a sensazione. In bici non uso il potenziometro e neppure il cardio. So quello che devo fare perché conosco il mio fisico e so cosa mi può servire per migliorare».

Ti piace il ciclismo professionistico di adesso?
«Assolutamente si. E’ più appassionante. Un ciclismo che ha avvicinato i giovani. Il duello del Tour tra Vingegaard e Pogacar e il mondiale di Van del Poel ha emozionato tutti. E’ più spettacolare, con attacchi da lontano, e i giovani la stanno facendo da padroni. E’ una nuova generazione che avanza».

Rispetto a prima, come è il Senni “amatore”, soprattutto a livello mentale?
«Quello che ho passato mi ha portato un pacchetto di esperienze importante e mi ha formato come uomo. Sono molto più tranquillo, accetto quello che viene con molta più serenità».

Nel mondo amatoriale sei entrato in punta di piedi, senza far troppo rumore…
«Forse anche grazie al mio carattere. Non sono certo un personaggio e mi ritengo un amatore come gli altri».

Ma è giusto far correre ex professionisti alle Gran Fondo?
«Fare il professionista è il sogno di tanti atleti. Molti vengono respinti da questo mondo e le cause possono essere molteplici. Ma non puoi penalizzare una persona perché ci ha provato e non è andata bene. Credo siano altri i problemi del ciclismo e del mondo amatoriale».

Quali?
«Io sono in questo settore da poco, ma vedo che in molti vivono male le Gran Fondo, con troppo stress, troppa ansia. In gruppo si avverte eccome. C’è gente troppo concentrata sul risultato e in questo modo si spendono troppe energie mentali sul risultato finale. Ripeto, il mio adesso è soltanto un divertimento. Non è un problema se mi stacco o va via la fuga, non ne faccio certo un dramma».

Anche perché tu corri da solo, giusto?
«Spesso sì, al massimo con un amico o con mio fratello. Quindi porto tutto nelle tasche, come tutti gli altri».

Pensi che l’eccessivo agonismo sia una delle cause del calo dei numeri delle Gran Fondo?
«In tanti parlano dell’eccessivo agonismo, ma i numeri dei partecipanti non sono calati perché si è alzato il livello. Adesso ci sono persone più preparate in gruppo, ma credo che i numeri siano calati per altri motivi. Ci sono tante prove, quindi c’è una maggiore scelta. Ci sono tanti eventi ogni domenica e l’appeal è un po’ diminuito. Ma penso anche ai costi, molto alti, non solo per le iscrizioni ma soprattutto per le trasferte».

Come può migliorare secondo te il mondo amatoriale?
«Ho notato che funzionano le manifestazioni che sono anche “evento”, che hanno un contorno per le famiglie. Così hai attrai anche i ciclisti esteri e promuovi il territorio. E questo a livello di sponsor ti può dare una grossa mano. Poi, per carità, forse è un discorso troppo semplicistico».

C’è stata qualche polemica sul tuo ingresso tra gli amatori…
«Le polemiche ci saranno sempre, c’erano anche tanti anni fa. Ogni tanto i miei amici mi mandano qualche screenshot di persone che mi criticano sui social. Dopo la vittoria alla Nove Colli qualcuno si è scatenato…».

E come reagisci?
«Sinceramente mi interessa poco. Di solito la buttiamo sempre sul ridere. In bici mi sento bene e non sto certo a sentire quello che mi dicono dietro. Ora sono un granfondista, non sono importante, non siamo mica al Tour o al Giro».

Per cosa ti hanno criticato?
«Qualcuno mi attaccava perché da professionista non combinavo nulla e ora domino le Gran Fondo. Ma ovviamente non conosce la mia storia personale. Il professionismo ti obbliga a un risultato, mentre il mondo amatoriale dovrebbe fondarsi soprattutto sul divertimento. Ora il mio lavoro è un altro. Il ciclismo è bello perché mette ognuno al proprio posto, anche se, a volte, un po’ di fortuna aiuta».