VITE NUOVE / Patrick, che senza un braccio è arrivato terzo alla Maratona delle Dolomiti. «Credete in voi stessi»

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Se stamattina ti sei svegliato demotivato, pigro, stanco, triste, sfiduciato, allora devi leggere questa storia. E’ quella di Patrick Hagenaars, 41 anni, che vive a Brixen im Thale, duemila anime non lontano da Kitzbühel, Austria. Domenica è arrivato terzo alla Maratona delle Dolomiti. Senza un braccio (il sinistro). «Questo podio ha un grande valore per me – racconta -, è la mia sesta partecipazione. Ogni volta, il mio obiettivo è affrontare al meglio la Maratona, e per farlo cerco sempre di essere in forma smagliante». Patrick è un uomo gentile, che ha scrutato il lato oscuro dell’abisso e poi è riemerso più forte e volenteroso. Da ragazzo lo sport era tutto. Il suo futuro era nel professionismo della combinata nordica (salto con gli sci e sci di fondo), poi l’incidente. «Volevo arrivare ai vertici, toccare il punto più alto. Il braccio l’ho perso a 19 anni. Amputato sopra il gomito. Un incidente». 

Cosa accadde?  
«Ero molto ubriaco e giovane. Una leggerezza giovanile ha causato l’incidente. Saltavo in giro per la stazione, sono caduto tra il treno in partenza e la piattaforma, finendo a terra con il treno che è passato sopra al braccio. Arroganza e sovrastima. La nebbia dell’ubriachezza è finita nel momento in cui il treno si è fermato con un freno a mano. Ricordo che in quel momento, per pochi lunghi secondi, si era creato un silenzio totale nella mia coscienza. E dopo, mentre ero disteso sui binari sotto il treno, è arrivato il panico. Perché sapevo che era successo qualcosa di grave al mio braccio. Vicino a me c’era il mio migliore amico». 

E poi?
«Ovviamente è stato un duro colpo. Il sogno di vivere una vita nello sport professionistico è finito. Quella è stata la cosa più difficile, sapere che il sogno d’infanzia era finito. E’ stato più difficile anche di avere un braccio solo».

Ti piacerebbe tornare indietro?
«No, non vorrei tornare indietro. Vivo con l’atteggiamento di uno che pensa che tutto ciò che accade nella vita abbia un suo senso. Quindi ho accettato di aver perso un braccio e ho guardato positivamente al futuro».

La bicicletta che cos’è per te?
«Molto, ma non tutto. Ci sono cose più importanti nella vita. Tuttavia, è la mia passione, mi motiva, mi rende felice poter competere con atleti sani, tra virgolette».

Chi ti ha trasmesso la passione per il ciclismo?
«Nessuno. Ho iniziato a pedalare solo sette anni fa. Nel 2010, dopo il mio incidente. E’ stato un caso. Ho pensato di poter salire in bicicletta con la protesi al braccio e magari andare anche in piscina. E così ho fatto. Senza problemi. Da allora sono sempre andato in bicicletta e con la mtb di tanto in tanto. Nel 2012 ho partecipato a una gara di ciclismo in mountain bike, ma non è andata bene durante le discese. Però mi era piaciuto così tanto, la competizione, la voglia, lo sport, che sono andato avanti. Ho provato la bici da corsa per partecipare a una gara di ciclismo e questo mi ha motivato tantissimo. Funzionava bene e allora ho iniziato ad allenarmi in modo strutturato».

Hai dovuto adattare la tua bicicletta?
«Sì, un po’. La protesi che ho è stata fatta solo per andare in bicicletta. La parte di connessione tra la protesi e il manubrio della bicicletta doveva essere fatta su misura. E sul lato destro, quella della mia mano sana, ho il freno anteriore e il freno posteriore. In pratica sono guidati insieme con una leva del freno, e anche il cambio è lì».

Qual è la più grande sfida senza un braccio?
«Non lo vedo come una sfida, non penso ai problemi (se ce ne sono). Ho l’atteggiamento di un che non ha svantaggi. E infatti non ho svantaggi. Anche perché non sono un miracolo, io in bicicletta devo allenarmi duramente come tutti. Altrimenti non sarei nelle prime posizioni in varie gare ciclistiche. È meglio affrontare positivamente la situazione nella mente piuttosto che occuparsi continuamente di quello che non va, che non funziona, degli svantaggio». 

Nella vita di tutti i giorni è diverso?
«Per la vita quotidiana non ho una protesi. Perché mi sembra un corpo estraneo. Si impara. O meglio, mi sono abituato rapidamente e positivamente a vivere con un braccio solo. È importante accettare tutto ciò che accade nella vita e non lamentarsi continuamente».

Quanto ti alleni in bicicletta?
«Cinque, sei giorni alla settimana. Faccio allenamenti fino a settembre. Se faccio un calcolo, circa una ventina di ore a settimana».

Hai un sogno?
«Il mio sogno è sempre uno: essere contento e non cercare sempre di essere il migliore, il più veloce, il più grande. Certo, naturalmente vorrei migliorare le mie prestazioni in bicicletta, ma se non sono soddisfatto di tutto il resto, non mi serve a nulla essere più felice anche se vinco tutto. Sono un tecnico di costruzioni in legno. Lo faccio in smart working, al computer preparo i progetti sul tetto, la casa. Ho il supporto della mia famiglia, che mi sostiene completamente ed è felice per me, dei miei successi».

Anche loro sportivi?
«Nessuno nella mia famiglia è attivo nello sport, ne abbiamo parlato spesso. Sono l’unico ad avere la passione per lo sport. Il mio idolo è Federer. Solo la mia compagna fa trail running, ma non ha i miei geni». (ride ndr)

Nella vita ci vuole più coraggio, spensieratezza, forza di volontà o un pizzico di follia?
«Un po’ di tutte queste cose. Ma non so se siano componenti necessarie per essere felice e soddisfatto».

PhotoCredit: EXPA/ Johann Groder

Come ti vedono gli altri?
«È difficile prendere la prospettiva che hanno gli altri di te. Penso che molti mi vedano come un pazzo, altri come un appassionato, altri ancora come una persona molto legata alla natura e che cerca di rimanere con i piedi per terra in ogni aspetto».

Ti senti un modello da seguire?
«No, non proprio. Forse sono troppo modesto per questo. Voglio essere un esempio per gli atleti che sanno che le mie prestazioni sono assolutamente pulite e possibili senza doping. Garantisco per questo, darei il mio secondo braccio. Quindi: credete in voi stessi, la convinzione è la forza più grande».