Taipei Cycle: ecco perché conviene acquistare una bici tra oggi e giugno

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Un'immagine dell'edizione 2025 di Taipei Cycling.
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Non è un momento facile per il commercio mondiale pervaso da tensioni politiche, dalla preoccupazione dei dazi e da frontiere che improvvisamente diventano meno aperte per le merci. E la bici non fa certo eccezione. Si è concluso da pochi giorni l’appuntamento di Taiwan, Taipei Cycle, una rassegna della produzione ciclistica che nel tempo è diventato il punto di incontro tra l’Occidente ed il sudest asiatico. Forse l’occasione più importante per la valutazione dello stato delle cose e delle prospettive del mercato mondiale della bicicletta. Tra gli italiani reduci da viaggio c’era anche Francesco Ferrario, l’anima dell’Italian Bike Festival, e conoscitore attento delle dinamiche che le aziende vivono.

Qual è lo stato del mercato?

«È molto difficile questa analisi. Viviamo in un momento di grandissima incertezza. La politica sta fortemente condizionando i mercati. Ad esempio, a Taiwan sono mancate tutte le aziende cinesi perché il loro governo non ha fornito i necessari visti. Questo ha impoverito molto la rassegna e spostato l’attenzione sulla fiera di Shangai (dal 5 all’8 maggio), dove invece ci saranno».

Quanto incidono i cinesi?

«Molto. A maggio capiremo molte cose. Si dice che la Cina voglia entrare direttamente e prepotentemente sul mercato. La XDS che sponsorizza l’Astana ha già dato un segnale importante legandosi ad una squadra WorldTour di cui potrebbe in futuro diventare proprietaria. Parliamo di un’azienda che fattura 1,4 miliardi all’anno».

Le grandi case stanno operando tutte una forte riduzione dei costi. Qual è il loro stato di salute?

«Il problema delle grandi è che durante il Covid hanno aumentato molto la produzione di gamma medio-bassa che aveva richieste esagerate. E’ stato il grande business del Covid. Ma quel cliente è scomparso e quella tipologia di bici è rimasto nei magazzini. Oggi le grandi hanno comprensibilmente ridotto fortemente quella produzione, ma hanno necessità di smaltire le giacenze».

Quanto ha inciso sulla loro salute questo surplus di produzione?

«Diciamo che ha consigliato una politica più prudente e questo è probabilmente all’origine di tagli che nel riesame dei costi sono stati ritenuti possibili. Nella sostanza non credo che i fatturati ne abbiano risentito molto, certamente si sono ridotti i margini di guadagno».

Molti grandi marchi hanno scelto di chiudere la sede in Italia preferendo una regia europea.

«In effetti molte aziende si sono rese conto che certe strutture nazionali, grazie anche alla tecnologia, non erano più necessarie ed hanno preferito costruire strutture continentali».

Perché non in Italia?

«Credo che la pressione fiscale abbia influito parecchio, perché l’Italia è stato e resta il mercato europeo di riferimento più ricco».

Questa situazione può dare nuovo spazio ai tanti costruttori italiani che sono stati fagocitati dai grandi marchi?

«Da un punto di vista commerciale che le case di certi marchi siano in Spagna piuttosto che in Olanda non cambia molto. Dipenderà molto dalla percezione dell’utente finale: se questo pensa che l’assistenza post vendita possa subire un ridimensionamento o solo essere meno comoda preferirà rivolgersi all’artigiano vicino casa».

Sul rallentamento del mercato, quanto influiscono i costi?

«C’è un grande dibattito sui costi e nessuno sa quale sarà lo sviluppo futuro. Posso dire che chi vuole acquistare una bici da oggi a giugno troverà condizioni eccezionali. La necessità di smaltire le giacenze sta permettendo alle aziende di offrire sconti irripetibili».

Ma ci sarà un calmieramento?

«I prezzi si stavano abbassando. I costi di trasporto erano calati e le materie prime si avvicinavano ai livelli degli anni precedenti. Adesso però nessuno sa cosa potrà accadere. Come influiranno i dazi? Come cambieranno le politiche commerciali?».

Cosa può succedere?

«Sappiamo tutti quanto la produzione asiatica sia diventata centrale. Cosa succederà ad esempio ai marchi americani? Prima la merce arrivava negli Usa e da qui in Europa. La faranno arrivare direttamente in Europa per evitare dazi che rischiano di sommarsi? E dall’Asia come reagiranno ai dazi Usa? E l’Europa? Non ci sono certezze in nessun punto della filiera».

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Al centro Francesco Ferrario, fondatore di Taking Off e organizzatore dell’Italian Bike Festival, durante un dialogo con Alessandro Ballan e Davide Cassani.

Torniamo al prodotto. Da tre anni non si vedono modelli nuovi di bici. Solo piccoli adeguamenti…

«Le aziende vogliono smaltire, ma credo che il 2026 sarà l’anno della svolta. Comunque il dramma del Covid ha avuto effetti positivi sul mercato della bici ed anche se oggi paghiamo il prezzo di un’eccessiva produzione restano conti positivi ed una diffusione di bici che non ha eguali. E questo incide anche su una cultura che va cambiando».

L’alta gamma strada come funziona?

«Diciamoci la verità, quel segmento non ha mai veramente sofferto. E’ un mercato che tiene bene in virtù di una passione che non è mai venuta meno. Forse è il segmento, con la sua dimensione, che ha sofferto di meno».

E l’elettrico strada?

«Questo è un settore che stenta a decollare. Diciamo che soprattutto in Italia non incide più di tanto sui numeri complessivi».

È il gravel il vero fenomeno?

«È un modello in forte ascesa. Certamente non ha problemi di magazzino».

Passiamo alla mountain bike.

«Diciamo subito che la mountain bike muscolare di bassa gamma è abbastanza ferma. E’ la bicicletta che ha beneficiato di più del boom. Per prezzo e utilità è quella che è stata più richiesta quando non si poteva andare in giro».

Quella a pedalata assistita?

«Rispetto al passato ha subito un rallentamento, ma l’offerta è ancora molto ricca».

Sono cresciuti tanto i modelli urban.

«È vero, ma è ancora un volume piuttosto basso rispetto ad altri Paesi. E’ in crescita, ma per questo segmento molto dipende dalla politica e dalle scelte che potranno fare i Comuni».

Anche il turismo…

«È un’esplosione. Gli alberghi stanno spingendo forte perché ne hanno tratto grandi vantaggi. Ormai offrono anche prodotti di alta gamma alla loro clientela, favorendo il mercato ed un’abitudine a pedalare in vacanza».

Quali sono le valutazioni complessive sul mercato italiano?

«Il mercato non si è mai fermato. Si è mosso sempre, anche se stimolato da sconti, a volte molto significativi. La cosa che ho notato è che rispetto agli altri mercati, quello italiano ha più stimoli, più voglia, più fiducia. Questo è positivo perché genera ottimismo e perché, nonostante tutto, la bicicletta in Italia resta un’eccellenza».

E i componenti e gli accessori come si muovono in questo contesto?

«Hanno sofferto di meno. Storicamente non sono mai state portate, queste aziende, a caricare troppo i magazzini e quindi non si sono trovate con giacenze da smaltire. Poi godono di un mercato che continua a crescere e svilupparsi. Forse, anche grazie a questo grande allargamento della clientela, c’è un’attenzione al bello, al funzionale, al comodo che rappresenta un grandissimo stimolo. Una fetta di ciclisti molto ampia, non si limita a scegliere la bicicletta, ma vuole anche vestirsi in un certo modo ed avere le sue comodità. E’ un pubblico molto più attento ed esigente rispetto a quello che pratica altre discipline sportive».

Trarremo le fila di tutti questi discorsi all’Italian Bike Festival (5-7- settembre) a Misano. Cosa possiamo aspettarci?

«Abbiamo già la conferma di tutti gli espositori del 2024 e continuano ad arrivarci richieste nuove. Registriamo con piacere il fatto che molte aziende che in passato erano presenti con importatori o negozi, hanno scelto di essere all’evento in prima persona. E’ una cosa che ci riempie di orgoglio».

Aumenta il tasso di internazionalità.

«Sì, e speriamo che si possano riannodare tutti i fili e che le preoccupazioni di oggi possano essere superate nel migliore dei modi».