L’Ardita e quella fatica d’altri tempi: l’impresa dei ciclostorici tra piatti tipici e la rampa di San Polo

La partenza de L'Ardita da Piazza Grande ad Arezzo: un'atmosfera e uno scenario fantastici
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È stato un sabato sera movimentato sull’Alpe di Poti. In due dello staff hanno dormito in cima per allestire al meglio il punto di sosta preparato da 15 giorni. C’era di tutto, dall’anguria alla pasta fino ai prodotti tipici del territorio aretino, teatro de L’Ardita. E i ciclisti hanno davvero apprezzato!

AREZZO – La rampa che porta a San Polo fa soffrire tutti. Meno male che in cima c’è un punto di ristoro che distribuisce bottigliette. Adesso però c’è da prendere una decisione…

«Fino a qui avete scherzato, adesso solo gli arditi veri avranno il coraggio di andare sull’Alpe di Poti…», dice Augusto, un signore del posto arrivato sull’incrocio per godersi il passaggio dei ciclisti. Cerca con lo sguardo Francesco Moser, ma non si è accorto che gli è passato davanti al naso pochi secondi prima e non se ne è neanche accorto. Arrivano altri ciclisti e si fermano cercando di capire se conviene andare su o procedere sul tracciato classico. Intanto in cima all’Alpe di Poti, sette chilometri più in alto, si affetta il cocomero e si gettano salsicce sulla brace.

«Sull’Alpe c’è gente da ieri mattina – ci aveva detto al via Massimiliano Refi, organizzatore dell’Arditaad allestire un ristoro fantastico. Alcuni hanno anche dormito in vetta».

La nostra scelta, come quella di molti ciclisti, era obbligata. Bisognava andare in cima a conoscere queste persone. E i nomi dei due “arditi” dello staff che hanno bivaccato a quasi 900 metri di quota sono Paolo Gallorini e Claudio Franci, che ci accolgono al ristoro con un gustoso panino con la salsiccia, mentre a pochi metri qualcuno dello staff spadella la pasta.

Claudio ci racconta che per preparare il ristoro ci sono voluti 15 giorni e che le direttive anti-Covid hanno complicato il lavoro, che per loro era molto lineare.

«Quest’anno – prosegue – c’è stato un grande impegno da parte di tutti e abbiamo scelto di passare gli alimenti, separando il banco dai ciclisti con un velo di cellophane. C’è di tutto, dolci, panini, pasta, vino. E tutto tipico, a chilometro zero. Certo, non è bello come gli altri anni, ma era importante esserci».

Intanto cominciano ad arrivare i primi ciclostorici. Tutti fanno una pausa. Si timbra il cartellino di viaggio e prima di ripartire, tutti si accomodano sulle panche a gustarsi un bicchiere di rosso. Claudio, invece, continua a raccontarci dell’Alpe di Poti, che per lui è un simbolo e meriterebbe più attenzione.

«L’Alpe di Poti è la montagna di Arezzo. Ultimamente era passata un po’ di moda, ma stiamo facendo tanto per valorizzarla e dopo il passaggio del Giro d’Italia nel 2016 (nella tappa Foligno-Arezzo, vinta da Gianluca Brambilla) è tornata un po’ in auge, ma meno di quanto meriterebbe. E’ una salita mitica, nove chilometri, quasi tutti sterrati, durissimi, con rampe al 15 per cento. È un posto spettacolare e non solo per l’Ardita. Da qui c’è un panorama incredibile. Lo abbiamo scelto per dare un po’ di conforto ai ragazzi che hanno deciso di affrontare l’Ardita e salire fin quassù. Anche fossero solo 50 ciclisti, ne sarà valsa la pena. Questo è il nostro successo più grande. Poi il prossimo anno, questa gente tornerà e riproporremo una festa in grande stile».

Intanto i ciclisti iniziano finalmente ad arrivare. Qualcuno si siede stremato e chiede con gentilezza un piatto di pasta e un bicchiere d’acqua, che arrivano insieme a uno di vino rosso e  a un piatto di biscotti col vin santo. L’attenzione ai dettagli si vede da queste cose. Del resto, da qui ad Arezzo è tutta discesa. C’è solo da stare attenti alle curve.