VITE NUOVE / La Fausto Coppi in Graziella si può. Matteo e Ivano: «La vera performance la fai con la testa»

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Le buone idee, dice Ivano Camperi, 40 anni, di Fossano, «nascono dietro a un calice di vino». Ma per poterle realizzare bisogna avere la mente aperta e il cuore grande. Virtù che Ivano e il suo amico Matteo Bosca, 30 anni, di Bene Vagienna, si caricano ogni volta sulle loro Graziella. Ah, sì: la cara, vecchia, arrugginita, pesante, gloriosissima bici della nonna. «Ferri vecchi», sorridono Ivano e Matteo. Ma sufficienti per affrontare la fatica e gli ostacoli delle salite.

In Graziella hanno fatto l’Eroica. E va beh, facile? Poi hanno seguito il corso del Po, dalla sorgente alla foce, 600 chilometri in quattro giorni. Poi hanno fatto la Fausto Coppi. Chi conosce la gara sa che dietro ci sono salite leggendarie, strappi di dolore, momenti di durezza estrema, e non solo perché recitate nel nome del Campionissimo. Sono 111 chilometri e 2500 metri di dislivello. In Graziella come fai? «Abbiamo studiato un modo per veicolare il manubrio, tenerlo dritto. Sulle salite dolci la Graziella ha un rapporto che ti permette di pedalare bene. Dopo la parte in piano siamo riusciti a stare vicini anche agli altri ciclisti». 

Quello del ciclismo è un mondo in costante evoluzione. Ci parla di tecnologia, di green, di sostenibilità. Ma anche di ricerca, materiali, business. Controcorrente ci vanno loro, Ivano & Matteo, insegnanti (termo-idraulica Ivano, nel settore elettrico Matteo), che (vino a parte) hanno saputo guardare la bici da nuove prospettive. Consapevoli della fatica, delle difficoltà. «Salivamo a sette chilometri orari, raccogliendo anche qualcuno che stava andava su a zig zag. Siamo riusciti a fare il nostro». Tirare su una Graziella non è uno scherzo. Figuriamoci quelle di Ivano e Matteo. Non modificate nell’assetto, ma caricate di tutto il necessario: l’assistenza non aveva gli strumenti giusti per poterci mettere le mani. «Una Graziella pesa 12, forse 13 chili. E poi le bombole, la borraccia, le camera d’aria, i copertoni, le chiavi a pappagallo: ci siamo portati dietro tutto per metterci mano in caso di necessità». Ivano è un ultrarunner, Matteo un ciclista; uno vede la bici come un passatempo, l’altro come una ragione per raggiungere obiettivi. «La Graziella è il nostro connubio, ci permette di fare cose insieme». 

Quella dei due ragazzi («Eh dài, quasi», scherzano) è ben più di una passione. Dietro il Made in Graziella delle loro imprese c’è un senso più profondo, più grande. E’ l’inclusione. Condivisa con tutti i partecipanti della Fausto Coppi. E con gli amici Maurizio Oberti (che l’ha fatta in mtb) e Mattia Albarello (l’unico con la bici da corsa, ma con soli 50 chilometri di preparazione nelle gambe). Le bici le trovarono da uno sfasciacarrozze, uno di quei luoghi – come la luna dell’Ariosto – in cui si accumulano tutte le cose che gli uomini hanno perso e non usano più. Tipo: due bici usate, Graziella appunto. «Ivano mi mandò un selfie. Ne aveva presa una arrugginita al punto giusto. Ma il tizio ne aveva altre cinque, le ho comprate tutte e poi le ho regalate a famigliari e amici». Riutilizzo, riciclo, riuso: più avanti di così non si può. «Ci piace faticare, ma usando anche qualcosa di diverso. A performare spesso non è il mezzo, ma la testa». In questo la Fausto Coppi è stata l’habitat ideale. «L’abbiamo apprezzata tanto per due motivi – dice ancora Ivano –, per il benessere psicofisico che una manifestazione del genere ti dà. E poi per l’inclusione. Alla partenza è stato bello vedere tante persone diverse, c’erano due non vedenti accompagnati da altri ciclisti, e poi gente con le ebike, quelli con le bici per fare la prestazione, e noi con i ferri arrugginiti. Tutti insieme, che bello».