ESCLUSIVA \ Berruto (PD): «Salvini, non giocare con le vite dei ciclisti. Così li bullizzate»

Mauro Berruto, 54 anni, ex Ct della Nazionale di volley. Dal 2022 eletto alla Camera dei Deputati con il Partito Democratico
Tempo di lettura: 4 minuti

Mauro Berruto, che siede in Parlamento tra le file del PD ed è il delegato allo sport nella segreteria nazionale del suo partito, con la sua proposta di legge per garantire agli utenti fragili della strada “1,5 metri di vita“, riesce a dar voce a ciclisti, cicloamatori e cicloturisti. Dopo che il Ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha detto che è in dirittura d’arrivo una modifica del Codice della strada che prevede l’obbligatorietà – oltre al casco – anche di targa, assicurazione e freccia per biciclette e monopattini, siamo andati da Berruto per capire che aria tira.

Berruto, il tema è molto delicato: cosa pensa di questa proposta?

«Il tema è delicatissimo: qui si tratta di giocare con le vite umane. Mediamente muore un ciclista ogni due giorni. Avere un sistema come quello presente in Belgio o in Olanda sarebbe un’utopia. Ci sono dei trend inversamente proporzionali tra noi e loro agghiaccianti: gli italiani percorrono meno chilometri l’anno, ma muoiono di più».

Questa proposta di legge quanto potrebbe influire sui ciclisti?

«Questa scelta penalizza i ciclisti e induce a colpevolizzarli. Si tratta di una finta presa di parte degli utenti fragili della strada, quando invece il risultato finale sarà quello di bullizzarli».

Perché definisce i ciclisti “utenti fragili”?

«Se un ciclista batte contro l’auto cosa succede di grave? Che lui può rischiarci la pelle mentre l’automobilista ha un graffio sulla macchina. I ciclisti, almeno in Italia, sono sicuramente i più deboli sotto questo punto di vista. E vorrei chiarire che io non mi riferisco solo ai ciclisti professionisti, io parlo soprattutto di cicloturisti, del mondo che gira intorno al ciclismo come i costruttori, del nonno che va a fare la spesa in bici e del bambino che ci va a scuola».

Il logo della Associazione corridori professionisti italiani, che promuove l’1,5 m di distanza

E come cambierà la visione della bicicletta di queste persone?

«Questa domanda la vorrei girare al ministro Salvini perché qualora passasse anche la metà della sua proposta, quello sarebbe un chiaro invito a non usare più la bicicletta. E aggiungo che sarebbe un ulteriore invito ai turisti stranieri a non venire in Italia in bici».

Che problemi comporterebbe la mancanza di cicloturisti?

«Sicuramente un grave problema economico. Abbiamo un governo che sventola il made in Italy e la bellezza paesaggistica italiana come valore, che senza dubbio lo è, e poi è come se scrivesse un cartello a caratteri cubitali “Non venite in Italia”. A parte il costo della biciclette che aumenterebbe esponenzialmente con tutte le aggiunte al mezzo che ha proposto (ad esempio le frecce), i turisti che vengono in Italia con la bici cosa dovrebbero fare? Pagare un’assicurazione per 15 giorni di vacanza e mettere la targa?».

Secondo lei è possibile mettere in atto questa proposta?

«Io credo che una modifica al codice della strada arriverà, ma penso anche che questa proposta sia difficilmente realizzabile. Tuttavia mi spaventa che sia perfettamente coerente con una certa quantità di persone che promuovono la riduzione del numero di autovelox e l’aumento del limite di velocità a 150 km/h. Di fronte a un codice della strada che è clamorosamente a favore dell’automobilista, sarebbe un ulteriore colpevolizzazione del ciclista invitandolo a non usare quel mezzo».

Lei ha pubblicato un post in cui chiedeva di condividere la propria idea riguardo la proposta, che feedback ha ricevuto?

«Purtroppo ho notato uno spaccato del Paese: una grossa quota ritiene una follia queste proposte, mentre un’altra grossa quota è perfettamente in linea con quelle che sono le parole del ministro con tanto di atteggiamento bullizzante dell’utente forte, che colpevolizza il fragile della strada. E questo penso che purtroppo sia evidente a chiunque usi la bicicletta».

E per quanto riguarda la sua di proposta di legge?

«Io ho depositato a ottobre la mia proposta di legge per dare 1,5 metri di distanza al ciclista e caso vuole che un mese più tardi è morto Davide Rebellin. Tra l’altro a febbraio Salvini ha fatto un appello a istituire gli 1,5 metri di distanza ma a quanto pare cambia idea molto velocemente».

Lei ha qualche nuova proposta in campo, magari con la Fondazione Michele Scarponi o con Alessandro De Marchi che si dimostra sempre propenso a questo genere di progetti?

«Io continuerò con il mio progetto degli 1,5 metri. Voglio puntualizzare che sono consapevole che non significhi azzerare gli incidenti, ma iniziare un percorso di cambiamento culturale per la prima volta a favore degli utenti fragili della strada. Sarà strano come è stato strano quando hanno messo la legge che vietava di fumare nei ristoranti, ma darà il via a un percorso salva vita. E poi ho un altro progetto per il quale mi sono confrontato con tutte le persone di riferimento del ciclismo, come Giancarlo Brocci dell’Eroica. Ieri ho parlato anche con Marco Scarponi e poco fa con Alessandro De Marchi, con cui ho una comunicazione continua».

Marco Scaponi, segretario generale della Fondazione che porta il nome di suo fratello Michele, ucciso mentre si stava allenando il 22 aprile 2017

Cosa si aspetta dal mondo del ciclismo?

«A me piace riferirmi a quella che chiamo “Bike culture”: tutti coloro che c’entrano con il mondo del ciclismo, a partire dalla Federazione Italiana Ciclistica, fino alle aziende che producono biciclette, ma anche al comparto turistico. Da questi mi aspetto una presa di parte o quantomeno una risposta».

Se potesse fare una domanda a Salvini, cosa gli chiederebbe?

«Io vorrei domandargli se è consapevole dell’impatto delle azioni che comporterebbe la sua proposta di legge su tutto il mondo. Qui si tratta di vite umane e invece sembra che stia facendo un comizio».