VITE NUOVE / Dopo il diluvio, il ciclone Federico: «Ma non ditelo alla Pinarello»

Federico e Ilir Merlika al Giro dei Tre Laghi
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«Ho una Pinarello F, ma se sapessero che ci vado nelle mulattiere e nei campi in mezzo alle mucche ho paura che me la ritirerebbero. Però è una gran bici». Federico Merlika ha 51 anni, vive in Italia da quando – ne aveva 17 – la sua famiglia è tornata dall’Albania. «Mia nonna era di Bologna, ha incontrato mio nonno che era venuto qui a studiare medicina, mio padre è nato a Bologna ma durante la guerra i miei decisero di tornare in Albania e sono rimasti fino al 1989 quando il ministero ha deciso di rimpatriare le famiglie italiane». Federico porta il nome del suo bisnonno, ma all’anagrafe è Frederik perché in Albania erano vietati i nomi italiani

Abita a Botteghino di Zocca, frazione del comune di Pianoro, sopra Bologna. E questa storia è tutta colpa dell’alluvione. O quasi. «A maggio ho perso tutto in mezzora. Mezzo metro di fango, ogni cosa in malora: tv, lavatrice, lavastoviglie, si è salvato soltanto il frigo, non ho capito come. La cucina l’avevamo appena rifatta, dopo vent’anni: da buttare. Abbiamo dovuto rifare i pavimenti. Ora la casa è vuota, i mobili li ricompreremo. Ci riteniamo fortunati: abbiamo ancora un tetto, stiamo tutti bene, io, mia moglie, nostro figlio, due gatti e due cani. Però capirai, quest’anno niente vacanze. Così ho pedalato».

Federico e Ilir al santuario di Madonna di Bocca di Rio

Ha pedalato non rende l’idea. Federico Merlika è un filo competitivo. Ha cominciato ad andare in bici dieci anni fa, perché gli era venuto mal di schiena giocando a pallone, e adesso fa 30mila chilometri l’anno. «All’inizio non capivo come si potesse andare in bici così forte, mi passavano come delle frecce, ho pensato anch’io che fossero tutti drogati. Poi ho capito che con l’allenamento e la costanza può farcela anche uno come me, che va a acqua e tortellini. E bomboloni, che sono il mio punto debole. A me piace mangiare: grazie alla bici posso permettermelo. Pedalare mi fa stare bene».

Pedalare è riduttivo: Federico va in bici quasi tutti i giorni, lavorando in proprio (ha un’azienda di impianti elettrici) recupera la notte quello che non è riuscito a finire di giorno. In due mesi, tra luglio e agosto, spesso con 40 gradi, quasi sempre da solo, ha compiuto un’impresa: è riuscito a scalare tutti i santuari della regione, quelli inclusi dal CSAB (il circuito dei santuari dell’appennino bolognese, un nome ormai riduttivo) nella nuova versione allargata. Direte: va beh, dai, ha scalato i santuari. Alt, forse non avete idea: stiamo parlando di 270 santuari, «in tutto veramente ne ho fatti 330, qualcuno più di una volta». L’appennino reggiano l’ha fatto tutto in un giorno. 

Un’impresa, in una regione oltretutto messa a dura a prova dalle frane, con tante strade che sono letteralmente sparite. «Mi sono massacrato, specialmente in Romagna ci sono salite terribili che non conoscevo, facevo anche 2.500-3.000 metri di dislivello al giorno, infatti sono dimagrito tanto. Ho chiuso l’ultimo santuario l’altro giorno sul Carpegna e già che c’ero ho fatto anche il cippo, e quando sono arrivato davanti a Pantani non mi vergogno di dire che ho pianto. Mi sono emozionato».

Federico ringrazia l’amico che lo ha convinto a provare il Csab, Giorgio Verdi («è anche il presidente della nostra squadra Under 100: basta avere meno di 100 anni e pesare meno di 100 chili»), e che gli ha fatto conoscere fenomeni come Guido Franchini e tutti gli altri del Parco dei Ciliegi. Ora anche sua moglie Stefania è coinvolta, «è un’artista e si è messa a dipingere i santuari», mentre il loro figlio Ilir, 15 anni, è l’unico minorenne iscritto al circuito, «abbiamo fatto il Giro dei Tre Laghi il mese scorso, più di 1.000 metri dislivello in tre ore, anche lui gioca a pallone, fa il portiere».

Nel suo grande giro Federico è rimasto colpito dalla bellezza, «sono arrivato a una Pieve sopra Mercato Saraceno, e il custode novantenne mi ha spiegato tutta la storia, un momento speciale. Le zone più belle le ho trovate sull’appennino romagnolo e di quello reggiano, mi sono trovato a Bismatova, la salita di Carpineti forse è stata la più dura, c’è passato anche il Giro d’Italia: ho visto che facevo fatica, io non salgo mai al massimo, mi fermo ad ammirare, a fare foto. Non mi importa della media»

Federico, in compagnia di suo figlio, dopo aver terminato l’Everesting

Nel circuito ci sono anche le cronoscalate e, lo sapete, Federico è competitivo. «L’anno scorso ho vinto, l’ultimo giorno ho fatto un tempo importante sul monte delle Formiche. Ho fatto anche l’everesting a metà luglio, sai, facevo anche 60 mila metri di dislivello al mese grazie ai santuari e allora ho voluto provare: l’ho fatto sul pezzo duro delle Formiche, 12 ore e mezzo». Quest’anno però la vittoria nelle cronoscalate (dieci salite, una è quella di San Luca, famosa per il Giro dell’Emilia) gli sfuggirà. «Sono secondo e penso che rimarrò dietro: in fondo è colpa mia, ho iscritto un ragazzo che correva con Fortunato e Velasco e sta andando molto forte. Si chiama Fabio Bregolini, abita a Mongardino, viaggia intorno ai 400 watt medi, io non posso competere». Però Federico guarda avanti. «Lo sai che l’anno prossimo il Tour de France passa davanti a casa nostra, sulla salita del Botteghino? Non vedo l’ora». Qualcosa si inventerà.