Indignato, arrabbiato, incredulo. Giancarlo Brocci, ideatore e organizzatore dell’Eroica, parla di «questione dolorosa». E fa davvero male vedere quel nero color cemento e catrame coprire la bellezza. «La strada bianca doveva essere un elemento intangibile». Invece no. Nei prossimi giorni il tratto di curve e salite tra Buonconvento e Montalcino, che in passato è stato teatro di tappe al Giro d’Italia e di Eroica Montalcino, verrà ricoperto con cinque centimetri di terra bianca. La chiamano depolverizzazione, ma intanto è la tradizione che se ne va. «Non sono abituato a far finta di niente, mai in vita. E neanche a girare intorno argomentando su ciò che rappresenta la ‘depolverizzazione’ di un pezzo mitico di strada eroica». Brocci ne parla con amarezza. Perché, come ha voluto ribadire sui social e con noi di Cicloturismo, «vero che si tratta di 1,6 km ma è a pezzetti piccoli che il ghepardo mangia l’elefante e quello steso ora è bitume nero, asfaltatura».
Cosa significa vedere quel cemento?
«Vedremo, di certo sarà una cicatrice su una ferita, un’ingiuria appunto. Sono anche del parere che noi dobbiamo garantire che nella campagna più profonda ci possano essere condizioni di vita e lavoro della gente. Perché altrimenti facciamo i presepi. Non è che possiamo venire qui una settimana l’anno e troviamo il presepe. Ma quando si va a intervenire su un bene mondiale bisogna farlo con le modalità più avanzate che può proporre la tecnica di oggi».
Non è così?
«Non lo so sappiamo esattamente. Il risultato finale potrebbe essere accettabile, verranno posti cinque centimetri di terra sopra. Ma non è questo il punto».
Qual è?
«Quella strada sta nel percorso permanente di Eroica, è la salita più dura. Castiglion del Bosco è un must. E poi la sua è una storia bellissima, collegata al passaggio della Carrara-Montalcino, al Giro d’Italia del 2010. Alla fine di quella tappa Cadel Evans, non uno qualsiasi, disse che quella fu la sua vittoria più bella. Siamo legati a questi significati».
Con lei c’è anche un legame personale?
«Io sono di Gaiole in Chianti. A Montalcino ci sta Franco Rossi, il presidente, è il suo territorio. Io sono molto legato al fatto che quando mi fu chiesto da Apt Siena di far uscire l’Eroica dal Chianti andai a individuare un percorso che faceva questo anello, questo otto, compresa quella strada. Una strada difficilissima, quella di Castiglion del Bosco. All’epoca ero responsabile del calcio amatoriale Uisp e ogni frazione aveva una sua squadretta. Anche lungo quella strada».
Un tempo si parlava di industrializzazione, di progresso. Oggi che cos’è? Tradizione contro progresso come una volta?
«È anche questo, è il grande tema. Noi siamo tra quelli che non vogliono immolare tutto sull’altare del progresso, ci siamo già passati da lì. Troppo mondo è stato trasformato in brutta periferia, paesi dormitorio o capannoni e terze case per chissà chi. Dal mio punto di vista è lo stesso principio che ha reso il mondo sempre più caldo. Non ci si impolvera, ma si copre il suolo. Noi dobbiamo fare i conti con quanto ci siamo giocati nel pianeta. Poi che ci siano esigenze che possano essere prese in considerazione cercando di affrontare quel minimo con quello che le tecnologie più avanzate ci permettono va bene. Ma con l’idea indiscutibile che si interviene su un bene mondiale».
Nel mondo green che vogliamo questo che segnale è?
«Non è un bel segnale. Nemmeno il grande successo di Eroica, che ha fatto sì che in tanta parte del territorio ci sia stato un volano di sviluppo equo e sostenibile. Il grande successo del turismo in bici ha fatto molto. Nel 1998 Gaiole in Chianti aveva zero posti letto. Oggi sono 1340. Questo corrisponde a un incremento di traffico, ma tutto è stato fatto senza un mattone nuovo. Sono cambiate le esigenze, anche il solo consumo di acque per esempio. Ma abbiamo avuto 106mila presenze turistiche in un territorio che non ha nulla di turistico. Lo dico sempre: la discoteca non la vogliamo. Chi è venuto qui ci è venuto grazie ai messaggi di Eroica».
Perché non fare come in Francia, un’associazione amici della Parigi-Roubaix per salvaguardare le strade bianche in senso archeologico?
«Di fatto l’abbiamo già. Noi parliamo di 1,6 chilometri rispetto a un patrimonio molto grande, e noi ne abbiamo reso fruibili pezzetti che non c’erano più. Monte Sante Marie era una strada quasi dismessa. Ci sono strade bianche che sono state rese agibili e costituiscono i nuovi percorsi. Si è capito il valore della strada bianca. Il pavé è diverso. So bene che cosa significava perdere dei pezzetti di questo lastricato, di queste pietre, che però erano dei percorsi marginali, erano la congiunzione tra le concimaie degli allevamenti. Ecco, lì si può parlare di archeologia. Non sono fruite da un traffico, se non marginale e di campagna. Da noi il discorso è diverso. In provincia di Siena abbiamo la concezione che quello che era indice di zona depressa negli anni 50-60, oggi è vivo ed è un patrimonio mondiale».