1001Miglia, il bilancio di Repossini: «Umanità, più che numeri»

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Dopo la conclusione della sesta edizione della 1001Miglia, coronata anche stavolta da un enorme successo di partecipazione e di attenzione, si riapre il dibattito sul vero spirito che deve animare una prestigiosa manifestazione come quella ideata e organizzata da Fermo Rigamonti, una endurance che non ha però format agonistico né classifiche.

Un autorevole punto di vista è quello di Mino Repossini, presidente dell’ARI (Audax Randonneur Italia), l’associazione cui fanno capo tutti i brevetti che si svolgono sul nostro territorio. “La 1001 Miglia è tra i più importanti eventi che si svolgono in Italia, con una marcata incidenza di partecipazioni straniere, che le conferiscono un carattere squisitamente internazionale – puntualizza Repossini – ARI fa i complimenti a tutti i ciclisti che si sono cimentati in questa durissima prova e non rimane indifferente di fronte alle impressionanti prestazioni atletiche dei ciclisti più forti. Le randonnée, tuttavia, sono portatrici di uno spirito che intende allontanarsi dall’agonismo e dalle classifiche e ARI, prima fra tutti, vuole farsi garante di questo principio”.  

Repossini riconosce l’alto livello di quei randonneur che hanno fornito prestazioni tecniche di elevatissimo livello, ma auspica che pari risalto venga riservato “ai racconti di strada dei protagonisti, che abbiano concluso in ottanta, cento o centotrenta ore”. “Non vediamo l’ora di ascoltare come hanno vissuto, loro anche loro, questa straordinaria esperienza, ci piacerebbe sentire il punto di vista anche di colui che non ha concluso il percorso nei tempi massimi”.

Lo spirito rando non guarda la classifica, ma l’uomo che ci ha provato, sottolinea il leader dell’ARI. “Sia chiaro, ognuno è libero di interpretare il viaggio come crede – osserva – Mi piace chi vuole migliorare se stesso, chi vuole sfidare i propri limiti, così come chi si gode il viaggio per il viaggio, senza pretendere più pedalate di quelle che le sue gambe sappiano concedere”.

Le puntualizzazioni di Repossini sono sicuramente condivise dal 99 per cento di chi frequenta il mondo delle randonnée. Quel che conta è pedalare e guardarsi intorno. Realizzare un’impresa, ma soprattutto sfruttare l’occasione per ammirare tutto ciò che di bello si apre ai lati delle strade, all’orizzonte. Perdendo anche qualche quarto d’ora per fermarsi ad ammirare. “Non approvo solo chi vuole mettere la propria ruota davanti a quella degli altri – rimarca senza esitazione Repossini – Per questo genere di obiettivi ci sono tante altre specialità del ciclismo, per tutti i gusti. A me piacerebbe vedere la faccia degli stranieri impegnati nella 1001Miglia quando scoprono le bellezze del nostro Paese. E farmi raccontare delle amicizie che sono nate lungo la strada. Che a volte sono amicizie, a volte sono solo delle simpatie e altre volte non sono nulla. Sono comunque i rapporti umani e sono quelli che interessano a noi randagi”. 

Una randonnée come la 1001 Miglia, così lunga, prestigiosa e multietnica è un serbatoio quasi infinito di umanità. “Umanità vera, genuina, ruspante, rude e sincera – conclude il presidente dell’ARI – perché partorita da condizioni estreme, di fatica, resistenza, caldo, freddo, sofferenza fisica, soprassella infiammato, piedi gonfi, formicolii, chilometri che non passano, tramonti, albe, forature, scollinamenti, vento, labbra secche e ‘chi me l’ha fatto fare’. Un’umanità nuda e cruda, che si ritrova in mille sfaccettature che una classifica non riuscirà mai a cogliere”.